Afghanistan, verso l’addio?

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Gianluca Ales

Soldati occidentali in Afghanistan Getty Images
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L’annuncio americano di aver raggiunto un preaccordo di pace con i Talebani, al di là della sua realizzabilità, offre l’occasione per riflettere sulla più lunga guerra intrapresa dagli Usa e trarre un bilancio sulla missione

Resta da vedere quale sarà l’esito, ma già il fatto che americani e talebani abbiano annunciato ufficialmente di aver raggiunto un preaccordo di pace è una notizia più che significativa. Innanzitutto per il livello dei negoziatori. Per parte americana Zalmay Khalilzad, ex ambasciatore a Kabul, nonché inviato Usa in Iraq. Dall’altra Abdul Ghani Baradar, ex braccio destro del mullah Omar, cioè il fondatore del movimento talebano.

È necessario sottolineare il livello degli interlocutori perché è il segnale che ci sono intenzioni serie da entrambe le parti. Ma, appunto, resta da vedere la percorribilità di un’ipotesi che - allo stato - presenta delle problematiche non indifferenti.

Le incognite sulla praticabilità dell'intesa

Prima fra tutte – per parte afghana – quello della rappresentatività. Perché è vero che Baradar è di altissimo livello, ma del movimento afghano. La galassia degli insorti è infatti molto più ampia. In ordine sparso si parte dalle formazioni della cintura pashtun come la shura di Quetta, il clan Haqqani, i Tehrik Taliban Pakistan, Lashkar- e - Toiba, per finire con le prime cellule Isis che operano sotto il nome di Gruppo Khorasan.

Per parte americana c’è la grande incognita dell’opinione pubblica, che potrebbe considerare il ritiro dall’Afghanistan come una sconfitta. E, ancora meno trascurabili, i malumori del Pentagono.

Ed è qui che torniamo al punto di partenza: al di là degli evidenti problemi della sua realizzabilità, la possibile chiusura della guerra afgana porta alla luce vecchi e nuovi interrogativi.

Il primo, e forse il più importante, però, è il più vecchio di tutti, e riguarda anche il nostro paese, che pure all’intervento nel paese ha sacrificato decine di vite umane.

Che cosa siamo andati a fare in Afghanistan?

Per catturare e/o uccidere bin Laden, venne detto all’inizio, in quanto responsabile dell'attacco alle Torri Gemelle. Fu il casus belli dell’intervento militare, in effetti.  Con tutti i fondati dubbi sulla versione ufficiale, si può però dire che la missione è stata compiuta. E se vogliamo credere a quel che ci è stato raccontato, il capo di al Qaeda era in Pakistan, cosa peraltro nota a tutto il mondo, tranne evidentemente agli Usa e al suo fedele alleato, che però è al tempo stesso un santuario del terrorismo islamico.

No, venne chiarito dopo. È per rovesciare il regime tirannico degli studenti del Corano. D’accordo. Allora perché – verrebbe da chiedere – ci sono voluti 18 anni per riconoscergli una dignità di controparte in negoziati?

In effetti, ci spiegarono successivamente tutti i teorici neocon, l’intervento, al di là di tutto, aveva la funzione di esportare la democrazia che avrebbe portato sviluppo e progresso in aree arretrate.

Non c’è bisogno di commentare, no?

Senza polemica: dando un primo sguardo al preaccordo sembra – con tutte le differenze del caso - di rileggere quello siglato da Kissinger e da Le Duc Toh per chiudere la guerra in Vietnam. Fruttò il Nobel per la pace a entrambi i negoziatori, ma per l’America fu una ferita insanabile.

E dopo?

E, come allora, l’impressione è che gli Usa abbiano fretta di chiudere una lunga e costosa (e alla luce dei risultati verrebbe anche da dire inutile) parentesi in Asia Centrale, senza ammettere di aver perso. Perché il pareggio, in guerra, non esiste. E certamente i talebani non sono gli sconfitti, visto che siedono al tavolo dei negoziati.

Ora anche volendo ignorare i malumori dei veterani – e di chi ha perso qualcuno in questo conflitto – c’è il problema di quel che accadrebbe dopo. E visto quanto accaduto in Iraq dopo il frettoloso ritiro americano, i presupposti non fanno ben sperare.

A quel punto però sarebbe un problema afgano. E al diavolo decenni di cacciatori di aquiloni, mille splendidi soli e le denunce sulla barbarie del burqa.

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