Russiagate, le tappe dello scandalo

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Domenico Motisi e Pietro Adami

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L'inchiesta sulle presunte interferenze del governo russo durante le elezioni presidenziali Usa del 2016 è terminata a marzo 2019 dopo due anni di indagine. Ecco i protagonisti e gli episodi principali della vicenda

Il Russiagate è l'inchiesta sul presunto scandalo che risale all'ultima campagna elettorale americana, quando l'Fbi nel massimo della riservatezza iniziò a indagare sulle possibili interferenze di Mosca, volte a influenzare il voto delle presidenziali per favorire il candidato Donald Trump. Successivamente sarà anche il Congresso ad avviare le sue indagini. Una vicenda che ha portato a dimissioni illustri, attacchi politici e numerosi colpi di scena. A marzo 2019, dopo due anni di indagine, il rapporto del super procuratore Robert Mueller sulle possibili collusioni tra la campagna del tycoon e il Cremlino è stato consegnato al ministro della Giustizia. (TUTTE LE NEWS SUL CASO)

Marzo 2016: il caso John Podesta

Il 19 marzo 2016, John Podesta, capo della campagna elettorale di Hillary Clinton, riceve un’e-mail che lo invita a cambiare la password del suo account Google. Si tratta in realtà di un inganno che permette a degli hacker di accedere alla sua casella di posta elettronica. Il caso passa nelle mani di una società specializzata che scopre gli autori del raggiro: due esperti informatici legati all’intelligence russa. L’obiettivo appare chiaro: destabilizzare la campagna elettorale dei democratici diffondendo informazioni e dati sensibili da utilizzare a sostegno di Trump.

Giugno 2016: attacco ai Democratici

Arriva un'offensiva ben più vasta contro la rete informatica del partito democratico. Tempo dopo Wikileaks pubblica 20mila e-mail che testimoniano un boicottaggio ai danni di Bernie Sanders con l’obiettivo di favorire Hillary Clinton. Un episodio che crea notevole imbarazzo all’ex first lady e che porta alle dimissioni della presidente del Democratic National Committee.

Luglio 2016: confermati i sospetti su Mosca da Cia e Fbi

Dopo mesi di indagini, a luglio 2016 anche Cia, Fbi e Agenzia Nazionale per la Sicurezza confermano che dietro l’hackeraggio c’è il governo russo. Intanto gli hacker sferrano un nuovo attacco alla campagna della Clinton.

Dicembre 2016: l’accusa a Trump

Solo dopo l’elezione del candidato repubblicano, l’intelligence americana afferma che la Russia è intervenuta nelle elezioni per rafforzare Donald Trump. Accusa appoggiata anche da Barack Obama che dichiara di aver ricevuto prove sulle responsabilità russe. Il tycoon nega, il Cremlino reagisce.

Gennaio 2017: Trump chiede a Comey di non indagare su Flynn

Donald Trump chiede a James Comey, capo dell’Fbi, di lasciar perdere le indagini su quello che allora era il suo consigliere per la Sicurezza nazionale Michael Flynn. "È un bravo ragazzo" avrebbe detto Trump. Per l’Fbi, invece, è un uomo chiave nell’inchiesta per le sue conversazioni con l’ambasciatore russo Kislyak, avvenute a dicembre 2016. Colloqui proibiti dalla legge americana perché all’epoca Flynn, benché membro della squadra di transizione di Trump, non aveva ancora assunto alcun incarico governativo.

Febbraio 2017: scoppia il caso Flynn

L'ex generale Michael Flynn scelto da Trump come consigliere per la sicurezza nazionale viene licenziato per aver celato al vice presidente Mike Pence i contenuti del suo incontro con l'ambasciatore russo Sergei Kislyak. Anche il ministro della Giustizia, Jeff Sessions, viene coinvolto ed è costretto a tirarsi indietro dalla gestione dell'inchiesta. Nel mirino anche il genero del tycoon, Jared Kushner, per aver incontrato Kislyak, con lo scopo di creare un canale segreto con Mosca, e il capo della banca russa sotto sanzioni Usa.

Maggio 2017: licenziato anche Comey

Con una mossa clamorosa, Trump rimuove il capo dell'Fbi che indaga sul Russiagate. Sarà lo stesso Comey davanti al Congresso a parlare di pressioni subite dal presidente per insabbiare l'inchiesta. Intanto viene nominato dal dipartimento di Giustizia un procuratore speciale, Robert Mueller, per coordinare le indagini. Pochi giorni dopo Trump viene accusato di aver rivelato alla Russia informazioni altamente riservate durante un incontro nello Studio Ovale con il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov e l’ambasciatore russo negli Stati Uniti Sergej Kislyak.

Giugno 2017: indagato Donald Trump

È il Washington Post a svelare che il procuratore speciale sta indagando sul presidente in persona, sospettato di aver ostacolato la giustizia nelle indagini sul Russiagate. Il suo avvocato nega, ma poi è lo stesso Trump ad ammettere su Twitter: "Sono indagato per aver licenziato il direttore dell'Fbi dall'uomo che mi ha detto di licenziare il direttore dell'Fbi! Caccia alle streghe".

Luglio 2017: coinvolto Trump Jr

Spunta l'incontro tra Donald Trump jr e un'avvocatessa russa che gli aveva promesso materiale compromettente su Hillary Clinton. Perquisita l'abitazione dell'ex manager della campagna elettorale di Trump, Paul Manafort.

Ottobre 2017: prime incriminazioni

A cinque mesi dalla sua nomina, il procuratore speciale del Russiagate Robert Mueller spicca i primi capi di imputazione: destinatari sono Paul Manafort, 68 anni, ex capo della campagna elettorale del tycoon, e il suo ex socio, Rick Gates. Entrambi hanno preferito consegnarsi spontaneamente all'Fbi ma si dichiarano non colpevoli. Qualche ora dopo l'ex collaboratore della campagna di Trump, George Papadopolous, si dichiara colpevole per aver reso false dichiarazioni all'Fbi.

Dicembre 2017: Flynn si dichiara colpevole

Nel dicembre 2017, Michael Flynn ammette di aver mentito all'Fbi sui suoi incontri con l'ambasciatore russo e si dice pronto a testimoniare contro Trump. L'ex consigliere della Casa Bianca per la sicurezza nazionale ammette di aver reso falsa testimonianza e che è pronto a testimoniare contro il presidente. Inoltre, secondo i principali media americani, avrebbe confermato agli investigatori che per contattare il diplomatico moscovita agì d'intesa con Jared Kushner, genero di Donald Trump.

Gennaio 2018: pubblicato il libro "Fire and Fury"

Viene pubblicato il libro di Michael Wolff intitolato "Fire and Fury": contiene le dichiarazioni dell’ex chief strategist della Casa Bianca, Steve Bannon, con le accuse sugli incontri tra i russi e Donald Trump Jr, primogenito del presidente Usa, nella Trump Tower. Trump afferma: "Libro pieno di bugie".

Febbraio 2018: Gates si dichiara colpevole

Le indagini del procuratore speciale Robert Mueller sul Russiagate portano all'ammissione di colpevolezza da parte di Rick Gates, l'ex numero due della campagna elettorale di Donald Trump, che dichiara di essersi macchiato del reato di cospirazione e di aver mentito agli uomini dell'Fbi. Lo stesso Gates conferma di voler testimoniare anche contro Paul Manafort, che presiedeva la stessa campagna, nell'ambito dell'inchiesta sul Russiagate.

Aprile-Maggio 2018: ancora scontro Trump-Fbi

L’Fbi perquisisce lo studio dell'avvocato personale di Donald Trump, Michael Cohen, e preleva diversi documenti. Ma la reazione del presidente americano non si fa attendere: è una ''situazione scandalosa'', un ''attacco al nostro Paese'', un ''nuovo livello di ingiustizia", afferma il tycoon. È scontro aperto fra Donald Trump e l'Fbi sul presunto informatore inviato dal Bureau per spiare la campagna del magnate americano nell'estate del 2016, nell'ambito di una indagine sfociata poi nel Russiagate. Trump sostiene che il Bureau avrebbe infiltrato il suo comitato elettorale per motivi politici evocando addirittura un possibile input dell'amministrazione Obama e chiede un’inchiesta sui procedimenti dell’Fbi.

Luglio 2018: incontro Trump-Putin 

A Helsinki, storico incontro tra Donald Trump e Vladimir Putin. Il presidente degli Stati Uniti afferma che la vicenda Russiagate è stata "farsa" creata con l'obiettivo di allontanare i due Paesi. Lo stesso Tycoon sostiene che Usa e Russia debbano ricominciare a collaborare chiudendo definitivamente la questione. Dal momento in cui è scoppiato lo scandalo, Putin ha sempre negato qualsiasi coinvolgimento. 

Agosto 2018: la condanna di Paul Manafort

Il 21 agosto 2018, l'ex manager della campagna elettorale di Trump, Paul Manafort, viene giudicato colpevole per almeno 8 capi di accusa (su 18), compresa frode fiscale e finanziaria. La condanna arriva nell'ambito delle indagini del procuratore speciale Robert Mueller. "Il caso Manafort non ha nulla a che fare con il Russiagate", dichiara il presidente statunitense, che definisce Manafort un brav'uomo. 

Settembre 2018: Manafort collabora con Mueller

Manafort si dichiara colpevole di due reati: cospirazione contro gli Stati Uniti e ostruzione alla giustizia. L'ex capo della campagna elettorale di Trump decide di collaboratore con Mueller. 

Ottobre-Novembre 2018: Trump risponde alle domande scritte

Mueller invia alcune domande scritte al presidente statunitense, che a novembre 2018 annuncia di aver risposto, ribadendo che "non c'è alcuna collusione" con Mosca. Alcune di queste domande vengono definite "possibili trappole" da Rudolph Giuliani, il legale del presidente degli Stati Uniti. Intanto Manafort viene accusato dalla procura di aver mentito ripetutamente agli investigatori, violando così l'accordo siglato due mesi prima. 

Dicembre 2018: Michael Cohen viene condannato

Michael Cohen, l'ex avvocato personale di Trump, viene condannato da un giudice di New York a 3 anni di prigione per le accuse di aver evaso il fisco per 1,4 milioni di dollari, mentito al Congresso sui suoi rapporti con i russi e violato la legge elettorale comprando il silenzio di due donne su ordine del tycoon, per non danneggiare la sua campagna elettorale. Cohen  si era dichiarato colpevole davanti alla corte di aver mentito nel 2017 alla commissione Intelligence del Senato in merito a un progetto per costruire una Trump Tower a Mosca. 

Gennaio 2019: arrestato e rilasciato su cauzione Roger Stone

Roger Stone, alleato di lunga data ed ex consigliere informale della campagna presidenziale di Trump, viene arrestato e rilasciato dietro il pagamento di una cauzione di 250 mila dollari. Per lui sono sette i capi di accusa, tra cui intralcio alle indagini, manipolazione dei testimoni e falsa testimonianza: avrebbe saputo in anticipo delle mail hackerata di Hillary Clinton.

Febbraio 2019: salta collaborazione Mueller-Manafort. Cohen davanti al Congresso americano

Un giudice federale stabilisce che Manafort ha "intenzionalmente mentito" e reso "false dichiarazioni" all'Fbi, al procuratore speciale Robert Mueller e al gran giurì dopo essersi impegnato a cooperare sul Russiagate. Manafort avrebbe mentito in particolare sui suoi contatti con Konstantin Kilimnik, suo ex partner d'affari e politico che si ritiene abbia legami con l'intelligence russa. Il 27 febbraio Michael Cohen, chiamato a testimoniare sul caso Russiagate davanti ai membri della commissione vigilanza della Camera del Congresso americano, definisce Trump "un razzista, un truffatore, un imbroglione" e rivela che nel 2016 fu spinto dallo stesso Trump a mentire sul progetto di una Trump Tower a Mosca. Il tycoon, secondo Cohen, sapeva inoltre in anticipo che Wikileaks era in possesso di e-mail piratate potenzialmente dannose per l'allora sua rivale Hillary Clinton: "Trump ha mentito, mi vergogno di essere stato suo avvocato". 

Marzo 2019: Mueller consegna il rapporto

Il 22 marzo 2019, dopo due anni di indagine, Mueller consegna il rapporto al ministro di Giustizia Usa, William Barr. L'indagine è durata 674 giorni, per un totale di 22 mesi e un costo di 25 milioni di dollari. La Procura si è assicurata 7 ammissioni di colpevolezza, di cui 4 da persone che avevano lavorano per la campagna di Donald Trump. Fra gli accusati e gli incriminati si sono 27 persone, di cui 25 di nazionalità russa. Accusate anche tre aziende russe. 

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