Pena di morte, esecuzioni in calo del 4% a livello globale

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Secondo quanto rivela il report l'84% del totale mondiale delle condanne a morte sarebbero state eseguite in 4 paesi: Iran, Arabia Saudita, Iraq e Pakistan
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Lo rivela l'annuale rapporto "Condanne a morte ed esecuzioni" stilato da Amnesty International per l'anno 2017. Nel 2017 sarebbero state 993 le esecuzioni messe in pratica in 23 Stati

Nel 2017 è diminuito l'uso della pena di morte a livello globale. È quanto si apprende dall'annuale report "Condanne a morte ed esecuzioni" stilato da Amnesty International e diffuso il 12 aprile.

I miglioramenti a livello globale

Secondo quanto riportato nello studio, nel 2017 sarebbero state 993 le esecuzioni messe in pratica in 23 Stati: il 4% in meno rispetto alle 1032 esecuzioni del 2016 e il 39% in meno rispetto alle 1634 del 2015, il più alto numero registrato dal 1989. Il rapporto rivela inoltre che sono state emesse almeno 2591 condanne a morte in 53 Stati, rispetto al numero record di 3117 nel 2016. Dati, questi, che non comprendono le condanne e le esecuzioni in Cina che secondo Amnesty ammontano a migliaia, ma i cui numeri sono considerati segreto di Stato. L'84% del totale mondiale delle condanne a morte sono state eseguite in 4 paesi: Iran, Arabia Saudita, Iraq e Pakistan. Nel continente americano l'unico paese ad applicare la pena capitale sono gli Stati Uniti, mentre in Europa è la Bielorussia.

Aumentano gli stati abolizionisti

Oltre alla Guinea, nel 2017 la Mongolia si è aggiunta al totale degli stati abolizionisti, il cui numero alla fine dell'anno era salito a 106. Dopo che il Guatemala ha abrogato la pena di morte per i reati comuni, il numero degli Stati che per legge o nella pratica hanno abolito la pena di morte è salito a 142. Solo 23 Stati, come nel 2016, hanno continuato a eseguire condanne a morte, in alcuni casi dopo periodi di interruzione. Amnesty ha inoltre registrato passi avanti significativi verso la riduzione dell'uso della pena capitale in reati di droga. È stato evidenziato come, in alcuni Paesi, sia stato introdotto un aumento della quantità di droga necessaria a far scattare l'obbligo della condanna a morte. In Iran le esecuzioni registrate sono diminuite dell'11% rispetto al 2016 e la percentuale delle esecuzioni per reati connessi alla droga è scesa del 40%. In Malesia è stata introdotta la discrezionalità della pena nei processi per traffico di droga. L'Indonesia, che aveva messo a morte quattro prigionieri per reati connessi alla droga nel 2016 non ha eseguito alcuna condanna a morte nel 2017.

Reati di droga ancora puniti in 15 stati

Stando ai dati del rapporto, sono stati invece 15 gli stati che nel 2017 hanno emesso o eseguito condanne a morte per reati connessi alla droga, con un numero record nella regione 'Mena' (Medio Oriente - Africa del Nord). Amnesty International ha registrato esecuzioni per reati connessi alla droga in quattro Stati: Arabia Saudita, Iran, Singapore e Cina. Se su quest'ultima non sono disponibili dati, per Singapore si parla di otto impiccagioni, il doppio rispetto al 2016. Di poco inferiore l'aumento per l'Arabia Saudita dove le decapitazioni per reati connessi agli psicotropi sono salite dal 16% del totale delle esecuzioni del 2016 al 40% nel 2017.

Le violazioni del diritto internazionale

Nel rapporto spicca una condanna chiara di Amnesty nei confronti di alcuni governi che avrebbero violato una serie di divieti previsti dal diritto internazionale. In Iran sono state eseguite almeno cinque condanne a morte nei confronti di persone che al momento del reato avevano meno di 18 anni. Persone con disabilità mentale o intellettuale sono state messe a morte o sono rimaste in attesa dell'esecuzione in Giappone, Maldive, Pakistan, Singapore e Usa. Amnesty International ha anche registrato numerosi casi di persone condannate a morte dopo aver "confessato" reati a seguito di maltrattamenti e torture. È stato il caso di Arabia Saudita, Bahrein, Cina, Iran e Iraq. In questi ultimi due paesi, alcune di queste "confessioni" sono state trasmesse in televisione. Bahrein, Emirati arabi uniti, Giordania e Kuwait hanno ripreso le esecuzioni dopo periodi di interruzione. In Egitto, rispetto al 2016, le condanne a morte sono aumentate del 70%.

La speranza dell'Africa Subsahariana

Dati incoraggianti riguardo alla lotta per l'abolizione della pena di morte arrivano dal continente africano e in particolare dalla zona a sud del Sahara, dove l'ong ha registrato una significativa diminuzione delle condanne nel 2017 rispetto all'anno precedente. La Guinea è diventata il ventesimo Stato abolizionista per tutti i reati, il Kenya ha cancellato l'obbligo di imporre la pena di morte per omicidio e Burkina Faso e Ciad si stanno avviando a introdurre nuove leggi o a modificare quelle in vigore per abrogare la pena capitale. "I progressi dell'Africa subsahariana rafforzano la posizione della regione come faro di speranza e fanno auspicare che l'abolizione di questa estrema sanzione, crudele, inumana e degradante sia in vista", ha detto Salil Shetty, segretario generale di Amnesty International. Nel 2016 Amnesty International aveva registrato esecuzioni in cinque stati della regione, mentre nel 2017 solo in due, Sud Sudan e Somalia. La ripresa delle esecuzioni in Botswana e Sudan, nel 2018, non deve oscurare i positivi passi avanti intrapresi da altri stati. Il Gambia ha firmato un trattato internazionale in cui si impegna a non eseguire condanne a morte in vista dell'abolizione della pena capitale e nel febbraio 2018 il presidente del Paese Adama Barrow ha istituito una moratoria ufficiale sulle esecuzioni.

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