Cambridge Analytica, Facebook: risponderemo ad Agcom, proteggiamo dati

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L'ex stratega di Donald Trump Steve Bannon (getty images)

Stephen Deadman, Deputy Chief Global Privacy Officer del social network, fa sapere all'Ansa che risponderanno alla richiesta dall'Autorità. Intanto, secondo secondo Wylie, il programma di raccolta dati sarebbe stata avviata con la supervisione di Bannon

Il programma per la raccolta di dati su Facebook fu avviato dalla Cambridge Analytica sotto la supervisione di Steve Bannon, l'ex stratega di Donald Trump. Lo ha detto al Washington Post Chris Wylie, la fonte che nei giorni scorsi ha rivelato lo scandalo dei dati personali degli utenti dei social utilizzati per scopi politici. Bannon avrebbe voluto testare su milioni di profili l'efficacia dei messaggi populisti lanciati durante la campagna elettorale del tycoon. “L'intera società è indignata, siamo stati ingannati”, fa sapere intanto Facebook, che nega responsabilità dirette e promette indagini accurate e soluzioni sempre più efficaci a tutela della privacy. Londra, Washington, Bruxelles e l'italiana Agcom, però, incalzano e chiedono a Mark Zuckerberg spiegazioni su quanto accaduto. Proprio in merito alla richiesta dell'Italia, il social network ha parlato attraverso Stephen Deadman, Deputy Chief Global Privacy Officer: "Siamo fortemente impegnati nel proteggere le informazioni delle persone – ha detto all'agenzia Ansa – e accogliamo l'opportunità di rispondere alle domande poste dall'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni".

Il professore che raccolse i dati: io capro espiatorio

Intanto, parla Alexander Kogan, l'accademico che attraverso l'app da lui ideata "Thisisyourdigitallife" ha raccolto ed elaborato i dati di 50 milioni di utenti di Facebook per poi cederli a Cambridge Analytica. "Mi usano come capro espiatorio, sia Facebook sia Cambridge Analytica", dice Kogan in un'intervista alla Bbc, ma la verità è che tutti sapevano tutto e tutti "ritenevamo di agire in modo perfettamente appropriato" dal punto di vista legale. Il professore insiste di essere stato rassicurato "da Cambridge Analytica che tutto era perfettamente legale e nel rispetto delle condizioni di utilizzo" di Facebook. Kogan spiega che non aveva idea che i dati raccolti sarebbero stati usati per la campagna elettorale di Trump, ma mette in dubbio che possano aver avuto davvero un ruolo chiave nella vittoria di Trump: “È un’esagerazione”, sostiene Kogan.

Il racconto di Wylie

Ha parlato al Washington Post, invece, Chris Wylie, ex dipendente della Cambridge Analytica. Ha raccontato che Bannon, tre anni prima del suo incarico alla Casa Bianca, avrebbe cominciato a lavorare a un ambizioso programma: costruire profili dettagliati di milioni di elettori americani su cui testare l'efficacia di molti di quei messaggi populisti che furono poi alla base della campagna elettorale di Trump. Bannon, già numero uno del magazine ultraconservatore Breitbart News, entrò a far parte del board della società britannica Cambridge Analytica, di cui è stato vicepresidente dal giugno 2014 all'agosto 2016, quando divenne uno dei responsabili della campagna elettorale del tycoon. Bannon aiutò a lanciare la società grazie ai finanziamenti dei suoi ricchi sostenitori, a partire dalla famiglia miliardaria dei Mercer. Wylie ha spiegato come di fatto Bannon in quel periodo fosse il boss di Alexander Nix, il controverso Ceo della società che nelle ultime ore è stato sospeso dal suo incarico. “Nix non aveva l'autorità di spendere tutti quei soldi”, ha detto Wylie, secondo il quale Bannon approvò nel 2014 una spesa di circa un milione di dollari per acquistare dati personali raccolti anche su Facebook. Bannon – si legge ancora sul Wp – avrebbe ricevuto dalla Cambridge Analytica nel 2016 oltre 125mila dollari in compensi per le sue consulenze e ha posseduto una parte della società per un valore tra un milione e i 5 milioni di dollari.

Il silenzio di Zuckerberg

Sulla questione il fondatore di Facebook Mark Zuckerberg continua a tacere, mentre il titolo affonda in Borsa (almeno 35 miliardi di dollari di capitalizzazione di mercato andati in fumo solo nella giornata di lunedì). Il sospetto da più parti è che, al di là del caso di Cambridge Analytica, i dati di centinaia di milioni di utenti siano stati dati in pasto a molte altre aziende senza scrupoli. Almeno fino al 2015, quando sono state cambiate le regole di policy del social. Finora il gruppo californiano, che ha affidato a esperti informatici un’indagine, si è limitato a due scarne dichiarazioni. La prima per definire “inaccettabile” l'eventualità che i dati di 50 milioni di utenti raccolti dalla Global Service Research (Gsr) e venduti alla Cambridge Analytica non siano stati ancora distrutti. La seconda per esprimere "indignazione" e denunciare: "Siamo stati ingannati, stiamo lavorando per rafforzare la protezione dei dati”.

Si muovono Usa, Gb, Ue e Italia

Da Londra, intanto, è stato recapitato a Zuckerberg un mandato a comparire davanti a una commissione parlamentare del Parlamento britannico, mentre a Washington si è mossa la Federal Trade Commission, che ha aperto un'indagine sul caso della Cambridge Analytica anche alla luce dei suoi rapporti con la campagna di Donald Trump. Pure Bruxelles incalza, con il presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, che ha a sua volta invitato Zuckerberg a riferire agli eurodeputati. Mentre in Italia l'Agcom ha inviato a Facebook una specifica richiesta di informazioni circa “l'impiego di dati per finalità di comunicazione politica da parte di soggetti terzi”.

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