Alpinismo, Elisabeth Revol racconta il calvario sul Nanga Parbat

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Elisabet_Revol_screenshot_Sky_Tg24

La scalatrice è stata tratta in salvo in extremis sulla vetta del Pakistan mentre il suo compagno di cordata ha perso la vita. Nell'intervista all'AFP ha raccontato le allucinazioni e la lotta per sopravvivere durante la discesa. E ha annunicato: "Scalerò ancora"

Dopo esser stata tratta in salvo, Elisabeth Revol ha raccontato la tragica impresa vissuta sul Nanga Parbat, vetta del Pakistan nota anche come "montagna killer". A 7.200 metri ha perso la vita il suo compagno di cordata, il polacco Tomek Mackiewicz. Allucinazioni e un principio di congelamento, non le hanno impedito di lasciare indietro le sue debolezze e fare di tutto per salvarsi.

L'inizio della fine per Mackiewicz

Revol e Mackiewicz hanno iniziato a scalare la vetta, alta 8.120 metri il 20 gennaio. In alcuni giorni hanno raggiunto la cima, ma subito dopo l'alpinista polacco ha iniziato a soffrire di oftalmia delle nevi ("cecità da neve"). "Non aveva usato una maschera perché c'era un po' di nebbia durante il giorno - racconta l'alpinista francese nell'intervista ripresa dalla BBC - e verso sera gli è venuta l'oftalmia". Appoggiandosi alla spalla di Revol, i due hanno iniziato la discesa, ma a quel punto sono iniziati i problemi di respirazione. "Si era scoperto la bocca ed è iniziato il congelamento - ricorda la scalatrice francese -. Il suo naso è diventato bianco, poi è toccato alle mani e ai piedi". Si sono riparati in un crepaccio, passando la notte insieme, ma le condizioni di Mackiewicz sono peggiorate, fino ad avere emorragie dalla bocca, uno dei sintomi dell'ultimo stadio del malore da altitudine. Dopo aver inviato numerose richieste d'aiuto, Revol ha ricevuto l'ordine di portarsi a 6.000 metri per poter incontrare i soccorsi. Ha quindi dovuto lasciare il suo compagno d'avventura a 7.200 metri. "Non era una decisione da prendere. Mi è stato imposto".

Le operazioni di salvataggio

Pensando che i soccorsi sarebbero arrivati in fretta, Revol è scesa senza tenda e piumino. Ma quando l'incontro è saltato, ha dovuto passare un'altra notte all'addiaccio. Lì sono iniziate le allucinazioni: ha immaginato di essere in un posto dove alcune persone le portavano del tè caldo. Per ringraziarli, doveva quindi togliersi le scarpe. Dopo aver passato così 5 ore, ha iniziato a manifestare i primi segni di congelamento. Non udendo gli elicotteri, nonostante le condizioni precarie degli arti, Revol ha tentato un'ultima discesa. "Pensavo, non ce la farò mai, - racconta -. Alle due di notte, tre del mattino ho raggiunto un campo. Quando ho visto le luci venire verso di me, ho iniziato a urlare".

"Scalerò ancora"

Trasportata in elicottero a Islamabad per poi partire per la Svizzera, i medici non sanno ancora se dovrà subire un'amputazione di parte delle mani e del piede sinistro, congelati. Ma nonostante tutto non esclude affatto l'idea di tornare in vetta. "Scalerò ancora. Non lo dico perché sono sotto farmaci, ma perché ho bisogno di questo tipo di avventure. Le trovo molto belle. So che ci sono dei rischi e dei pericoli, ma si accettano".

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