Turchia, Amnesty a processo: attivisti rischiano 15 anni

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Una manifestazione delle scorse settimane per la liberazione di Taner Kilic (Getty Images)
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Per tutti l'accusa è di reati di "terrorismo". Intanto, il tribunale ha concesso la fine del carcere preventivo per 10 degli 11 imputati, detenuti dalla scorsa estate. Resta in cella il presidente Taner Kilic. Intanto continuano gli arresti: in carcere altre 79 persone

Il tribunale di Istanbul ha deciso il rilascio degli otto attivisti di Amnesty International detenuti da 115 giorni in Turchia: torna così in libertà anche la direttrice di Amnesty Turchia, Idil Eser. A loro si aggiungono anche un cittadino tedesco, Peter Steudtner e lo svedese Ali Gharawi, per un totale di 10 persone. La mancanza di ragioni per tenere gli attivisti in carcere non ha però fatto cadere le accuse per tutti di far parte della rete di Fetullah Gulen, ritenuto la mente del golpe fallito il 15 luglio 2016. Tutti gli imputati, infatti, rischiano fino a 15 anni di carcere. 

Respinta, invece, la richiesta di scarcerazione del presidente locale dell'Ong, Taner Kilic, che oggi - 26 ottobre -  compare a Smirne sulla barra degli imputati per un altro processo per "associazione terroristica".

Le accuse

Gli attivisti di Amnesty International erano finiti in manette con l'accusa di terrorismo. Erano stati catturati il 5 luglio durante un seminario sull'isola di Buyukada, al largo di Istanbul. Secondo la procura turca i membri di Amnesty International avevano intenzione di scatenare il caos "con violenze simili a quelle di Gezi Park" durante la "marcia per la giustizia" da Ankara a Istanbul, condotta tra giugno e luglio scorsi dall'opposizione turca. Inoltre secondo le accuse gli attivisti avrebbero avuto contatti con gruppi illegali curdi di estrema sinistra e con la presunta rete golpista di Fetullah Gulen. Tra i rappresentanti di Amnesty catturati c'erano anche due stranieri: il tedesco Peter Steudtner e lo svedese Ali Gharavi. 

La vicenda di Taner Kilic

L'avvocato Taner Kilic, presidente di Amnesty International in Turchia, è invece in carcere da giugno. Kilic, che ha difeso anche il blogger italiano Gabriele Del Grande durante il suo fermo nella scorsa primavera, è accusato di aver utilizzato ByLock, una app di messaggistica con cui i "gulenisti" si sarebbero scambiati informazioni criptate. Ma secondo due perizie forensi presentate a difesa di Kilic da Amnesty, l'app non è neppure mai stata installata sul cellulare dell'avvocato.

Le reazioni internazionali

Il caso ha scatenato forti proteste a livello internazionale contro quella che viene considerata l'ennesima stretta autoritaria del presidente Recep Tayyip Erdogan dopo il fallito golpe del 2016. In tribunale sono giunti osservatori di diversi Paesi, mentre i governi di Germania e Svezia avevano continuato a sollecitare il rilascio dei loro cittadini sotto processo. In tutto il mondo erano stati lanciati centinaia di appelli che invocavano la liberazione degli attivisti per i diritti umani. Il direttore per l'Europa di Amnesty, John Dalhuisen, ha definito l'accaduto un procedimento di "natura politica", messo in atto con "l'obiettivo di ridurre al silenzio le voci critiche della Turchia". Dopo la diffusione della notizia della scarcerazione di quelli che sono diventati gli "#Istanbul10", Amnesty International ha ringraziato tutti i sostenitori con un post sui social: "Grazie! Tutti i 10 di #Istanbul10 sono stati rilasciati. Questo non sarebbe potuto succedere senza il vostro aiuto. Non ci fermeremo fino a che tutte le accuse contro i nostri colleghi non cadranno".

Altri 79 arresti

Intanto continuano gli arresti collegati al fallito golpe del 15 luglio 2016. 48 persone sono finite in manette a Istanbul, mentre altre 31 sono stati fermati a Trabzon, sulle coste del Mar Nero. Tutti gli arrestati sarebbero finiti in carcere a causa dell'app Bylock per le comunicazioni cifrate, utilizzata dall'organizzazione di Fethullah Gülen, ipotetica mente del mancato colpo di stato in Turchia. Ad oggi sono circa 50mila le persone arrestate perché accusate di far parte della rete golpista, mentre in 160mila hanno perso il lavoro a causa di legami con l'organizzazione.

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