Fukushima, governo e Tepco ritenuti responsabili del disastro nucleare

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Le conseguenze del terremoto del marzo 2011 nel nord est del Giappone (Getty Images)
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Un tribunale giapponese ha accolto le istanze di una class action che raccoglieva 137 querelanti. I cittadini avranno diritto a un totale di 38,5 milioni di yen (circa 315mila euro) per i danni subiti

Una corte distrettuale giapponese ha ordinato al governo e al gestore della centrale nucleare di Fukushima, la Tokyo Electric Power (Tepco), di pagare i danni agli sfollati costretti a lasciare le proprie abitazioni a causa del disastro nucleare del marzo del 2011. È la prima volta che un tribunale riconosce la "responsabilità" di Tokyo e della Tepco per la mala gestione della centrale. La sentenza, che è stata emessa dalla corte di Maebashi, nella prefettura di Gunma, dà ragione ai 137 querelanti di una class action, ai quali è stato accordato un pagamento totale di 38,5 milioni di yen (circa 315mila euro). Il tribunale ha riconosciuto la negligenza del governo e il mancato varo da parte della compagnia di adeguate misure anti-tsunami. Azioni di prevenzione che, secondo la corte, avrebbero potuto evitare il disastro nucleare innescato dal maremoto dell’11 marzo 2011.

 

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La richiesta – "Credo che la sentenza che ritiene ugualmente responsabili dell’accaduto il governo e la Tepco – ha dichiarato al Japan Times Katsuyoshi Suzuki, l’avvocato a capo della class action – rappresenti un giudizio importante. Ma penso che il risarcimento accordato sia insufficiente se paragonato al disagio psicologico che i querelanti sono stati costretti a sopportare nel lasciare le loro abitazioni". L’accusa, infatti, aveva chiesto danni per 1,5 miliardi di yen, citando non solo lo stress emotivo a cui sono stati sottoposti ma anche la perdita dei raccolti e dei mezzi di sussistenza. Dei 137 cittadini appartenenti a 45 nuclei famigliari che hanno sporto denuncia, in 76 sono stati costretti a lasciare le rispettive abitazioni perché residenti nelle zone evacuate per ragioni di sicurezza. Mentre i restanti 61 si sono trasferiti volontariamente nonostante vivessero già fuori dalle zone a rischio, seppur a poca distanza dalla centrale. La sentenza della corte di Maebashi è stata la prima a dar ragione ai querelanti. Al momento a livello nazionale sono in dibattimento almeno altre 30 class action simili che coinvolgono più di 10mila giapponesi.

 

Le negligenze – Nella sentenza la corte ha citato un documento governativo del 2002 che sosteneva che, nei successivi 30 anni, c'era una probabilità del 20% che si verificasse un terremoto di magnitudo 8 nell’area di Fukushima. Nello stesso documento si dichiara che la Tepco era in grado di sopportare il rischio di uno tsunami grazie alle misure di sicurezza di cui era dotata la centrale. Nello specifico i querelanti hanno sostenuto che la compagnia avrebbe potuto evitare la catastrofe se avesse provveduto alla costruzione di frangiflutti in grado di respingere le onde provocate dal maremoto.

 

La difesa – Durante il processo i rappresentanti del governo e della Tepco si sono difesi dichiarando che prevedere una tragedia di tali proporzioni era impossibile e che pur adottando le necessarie misure non avrebbero potuto evitarne le conseguenze. Inoltre i legali di Tokyo hanno sostenuto che nella comunità scientifica c’erano opinioni divergenti sulla possibilità che si potesse verificare uno tsunami di quella portata, aggiungendo che il governo non aveva alcuna autorità per imporre alla Tepco l’adozione di misure preventive. 

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