Erano romani gli uomini di Neanderthal più antichi d’Europa

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Ricostruzione di un uomo di Neanderthal in un museo (Foto: Getty Images)
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Lo afferma una ricerca condotta dall’Istituto nazionale di Geofisica e Vulcanologia in collaborazione con tre università della capitale. Nuovi studi hanno dimostrato che i due crani rinvenuti negli anni Trenta nel sito di Saccopastore risalgono a 250mila anni fa

L’uomo di Neanderthal più antico d’Europa potrebbe essere romano. Ad affermarlo è l’Istituto nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) secondo cui “I resti della valle dell'Aniene costituiscono la più antica evidenza diretta della presenza dell'uomo di Neanderthal sul continente europeo”. La notizia è stata diffusa sulla base dei risultati di una nuova ricerca condotta dall’INGV in collaborazione con le tre università romane de La Sapienza, Tor Vergata, Roma Tre e pubblicata sul giornale specialistico Plos One.

 

La scoperta - Lo studio dei paleontologi romani ha preso le mosse dai due crani di homo neanderthalensis rinvenuti agli inizi degli anni Trenta a Roma presso il sito archeologico di Saccopastore, insieme ad altri resti di ominidi ritrovati nei depositi sedimentari lungo la Valle dell’Aniene. Secondo gli scienziati tali resti costituirebbero la prova della più antica presenza di una comunità neandertaliana in Europa risalente a 250mila anni fa. “Il lavoro - ha spiegato Fabrizio Marra ricercatore dell’INGV e autore della ricerca - è partito dal punto in cui i ricercatori erano giunti un anno e mezzo fa, quando avevano dimostrato, attraverso la correlazione tra cicli sedimentari e variazioni globali del livello del mare, che i terreni in cui erano stati ritrovati i due crani erano molto più antichi di quanto sino allora ritenuto: 250mila anni, contro gli 80mila/125mila delle precedenti stime di età”. Si tratta, spiegano gli scienziati, di un intero ciclo glaciale: i sedimenti fluviali risalirebbero alla terz'ultima glaciazione, durante quello che viene definito Stadio isotopico 7.

 

Le verifiche dei paleontologi - La conferma dello Stadio isotopico 7 è giunta anche dal riesame dei resti fossili animali che negli anni Trenta furono raccolti insieme ai resti umani dagli archeologi, e che tutt’ora sono conservati al museo nazionale preistorico etnografico “Luigi Pigorini” di Roma”. I resti, prima attribuiti a una specie indeterminata di daino, appartengono, dicono i ricercatori, alla sottospecie Dama dama tiberina, che è caratteristica dello Stadio isotopico 8.5/7 e che verrà sostituita dalla forma attuale di daino: Dama dama dama. A conferma della nuova datazione ci sarebbero anche i dati faunistici che rendono impossibile attribuire ai terreni di Saccopastore un’età inferiore ai 200mila anni. Una seconda novità scoperta dal lavoro di ricerca riguarda alcuni frammenti di ossa umane rinvenuti, insieme ai resti faunistici e a strumenti in selce, in quattro località vicine: Ponte Mammolo, Sedia del Diavolo, Casal de' Pazzi e Monte delle Gioie. La scienza ha sempre creduto che tali reperti fossero propri di una transizione tra Homo neanderthalensis e il suo antecessore Homo heidelbergensis, ma la carenza di elementi di datazione certa non era stato possibile avanzare ulteriori ipotesi. Ed è qui che il team di Marra è riuscito, applicando un principio di correlazione geologica, a ricavare una stima attendibile dei resti ritrovati lo scorso secolo. “Questi terreni - riporta una nota dell’INGV - si sono deposti in corrispondenza di due oscillazioni del livello del mare molto ravvicinate, corrispondenti al sub-stadio 8.5 e allo stadio 7, in un intervallo di tempo ben definito tra 295mila e 245mila anni fa.

 

Il caso inglese - La rilevanza della scoperta italiana assume un’importante rilevanza se messa a confronto con le scoperte dei paleontologi inglesi che hanno datato a 295mila anni fa alcuni strumenti in selce ritrovati sui terrazzi fluviali del Solent River, poco a sud di Londra. Strumenti, quelli trovati in Inghilterra, che sono attribuiti all'uomo di Neanderthal in Europa, ma che non sono stati accompagnati da un rinvenimento di resti umani, così come nel caso romano. “I resti della valle dell'Aniene, quindi, alla luce della loro associazione diretta con gli strumenti in selce, costituiscono la più antica evidenza diretta della presenza dell'uomo di Neanderthal sul continente europeo, aprendo nuovi scenari sulle possibili tappe dell’evoluzione dell’uomo in Europa e sui flussi migratori attraverso il vecchio Continente”, ha concluso Marra.

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