La giovane, accusata di atti persecutori e violenza privata aggravati, aveva costretto una minorenne di Palermo a infliggersi tagli sul corpo e inviarle foto come primo step di “50 prove di coraggio”
Si è concluso con una condanna a un anno e mezzo, con pena sospesa e non menzione, il primo e unico processo celebrato davanti al tribunale di Milano nel quale una giovane di 25 anni è finita imputata, con le accuse di atti persecutori e violenza privata aggravati, per essersi spacciata per "curatore" nell'ambito della cosiddetta 'Blue Whale Challenge' e per aver costretto, attraverso i social, una minorenne di Palermo a infliggersi alcuni tagli sul corpo e a inviarle le foto, come primo step di "50 prove di coraggio".
La decisione
La decisione è stata presa dalla giudice monocratica della nona sezione penale Angela Martone - che ha riconosciuto le attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti all'imputata difesa dal legale Isabella Cacciari - a seguito dell'inchiesta coordinata dal pm Cristian Barilli. Lo stesso magistrato che in passato aveva chiesto l'archiviazione, invece, per una serie di altri fascicoli scaturiti dai molti esposti di genitori e insegnanti che temevano che i propri figli o alunni fossero caduti nella rete della 'Balena Blu', un fenomeno emerso sui media e che aveva scatenato pure una sorta di "psicosi" qualche anno fa.
La vicenda
La vicenda, terminata con una condanna dopo un processo durato due anni, era venuta a galla in seguito a un'inchiesta sul fenomeno della 'Blue Whale' da parte di una giornalista che, fingendo di essere una minorenne pronta alla 'sfida', aveva aperto un profilo sui social ed era entrata in contatto con un'alunna delle scuole medie di Palermo, che ai tempi aveva 12 anni. Ragazzina, che nell'estate di quattro anni fa, per qualche mese, aveva cominciato a giocare per davvero con la giovane imputata. Da qui la denuncia della stessa giornalista alle forze dell'ordine per segnalare i pericoli che stava correndo l'adolescente e l'avvio dell'indagine in Procura a Milano. La ragazza, secondo la ricostruzione degli inquirenti e degli investigatori della Polizia Postale, tra il maggio e il giugno del 2017, con un complice di origini russe che aveva 16 anni, avrebbe contattato la vittima mediante profili Instagram e Facebook come "curatorlady", sostenendo di essere uno dei "curatori" del gioco, indicandole e imponendole i gesti da compiere. "Se sei pronta a diventare una balena - recitava uno dei messaggi inviati all'adolescente siciliana - inciditi 'yes' sulla gamba, se non lo sei tagliati molte volte per autopunirti". Inoltre, la presunta "curatrice" avrebbe reiterato le "proprie minacce" e la propria "capacità intimidatoria" avvisando la 12enne di conoscere il suo "indirizzo IP di connessione", cioè il luogo da cui si connetteva e quindi di poterla raggiungere e "ucciderla qualora avesse interrotto la partecipazione alla 'Blue Whale Challenge'".