“Ho fatto la spia” di Joyce Carol Oates è un romanzo intenso e bellissimo

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Filippo Maria Battaglia

IL LIBRO DELLA SETTIMANA La scrittrice americana racconta una storia di colpa e tradimento in una famiglia irlandese dello Stato di New York. Il risultato è uno dei romanzi più autentici e sublimi di questi ultimi anni

Prima o poi si dovrebbe affrontare bene la questione delle alette e delle quarte di copertina dei libri. Non dico delle fascette perché quelle, si sa, sono promozionali (e poi per quelle c’è il libro esilarante di Marco Cassini edito da Italo Svevo). Parlo proprio dei risvolti e delle quarte, assediati come sono ormai da decenni da un’enfasi retorica che al lettore esperto suona noiosa e, come tutte le cose retoriche, fasulla. 

Nel caso di “Ho fatto la spia”, il romanzo di Joyce Carol Oates, le cose però sono andate in modo diverso. Nell’aletta, la Nave di Teseo lo presenta come un “romanzo toccante e implacabile sulla ferocia dei sentimenti” e, insieme, un “ritratto impietoso della società americana”.

Uno pensa: boom, la solita sparata. E invece no. Il romanzo di Oates è destinato davvero a restare e a sopravvivere come una delle opere più autentiche e sublimi della letteratura contemporanea di questi ultimi anni.

 

La famiglia e il tradimento

Qui Oates racconta la storia di Violet Rue Kerrigan, dodicenne e ultima di una lunga fila di figli di una famiglia irlandese dello Stato di New York.

Poveri in canna, cattolici, con un padre aggressivo con l’alito dall’odore caldo e feroce, questi fratelli crescono come sono cresciuti molti degli americani nel dopoguerra. Fino a quando, però, i due maggiori, dopo essersi ubriacati, investono e aggrediscono a mazzate da baseball un diciassettenne afroamericano, membro della squadra di softball e basket e “albo d’onore della scuola”. Violet scopre cosa hanno commesso, tutti le dicono di tacere, lei però non tace. Macchiandosi così del reato più grave per molte comunità: il tradimento.

 

Una grande romanzo

Sembra la fine della storia, in realtà è solo l’inizio. Da qui, Joyce Carol Oates racconta la crescita turbolenta di questa adolescente, esiliata per tredici anni dai propri cari, ripudiata da un padre che la considerava la preferita e costretta a trovare l’energia per riuscire a sopravvivere.

Oates racconta questo, certo, ma anche molto altro. Restituendo innanzitutto una storia di rancore e di tradimento con un tratto narrativo riconoscibile, coinvolgente e soprattutto senza alcuna torsione narcisistica. Fidatevi: merita la lettura.

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