Censis, turismo driver fondamentale per l'economia

Lavoro
censis_foto

Difficoltà per i liberi professionisti che registrano un difficile ritorno alla crescita. Avvertita anche la differenza di reddito tra i professionisti uomini e le donne che è di circa 15.000 euro

 

Il settore del turismo in Italia continua a rivestire il ruolo di grande contenitore dell’occupazione e di driver fondamentale per l’economia. E cresce anche il comparto dell'Ict.  E' quanto emerge dal 53° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese. 

Secondo il Rapporto tra il 2017 e il 2018, infatti, il contributo diretto del settore turistico al Pil è aumentato dell’1,9%, con un valore economico di poco meno di 96 miliardi di euro. Il contributo diretto in termini di occupazione sfiorava il milione e mezzo di addetti nel 2017 e per il 2018 si stima un incremento dell’1,3% (circa 20.000 in più). 

Considerando oltre al contributo diretto anche gli impatti indiretti e indotti (investimenti del settore, spesa pubblica per promozione, marketing, servizi di sicurezza e sanitari, spesa diretta e indiretta del personale dedicato alle attività di viaggio e turismo), il valore economico del turismo in Italia raggiunge i 213 miliardi di euro nel 2017, pari al 13% del Pil. Secondo le stime, supera i 227 miliardi di euro nel 2018, con una crescita dell’1,8%. L’incremento dell’occupazione è dell’1,4% e il perimetro allargato del turismo include oggi 3.443.000 occupati. E rosee sono le previsioni per il futuro, a parere del Censis. Secondo le proiezioni a dieci anni del valore economico e dell’occupazione, nel 2028, con un tasso di crescita medio annuo dell’1,9%, il contributo diretto potrebbe infatti raggiungere i 116 miliardi di euro, con poco meno di 1.800.000 occupati. Se si aggiungono gli impatti indiretti e indotti, si arriverà a 267 miliardi di euro e a una occupazione di quasi 4 milioni di addetti. 

In crescita anche il settore ict

Ma la crescita dell'occupazione italiana non è trainata solo dal turismo. Il settore ict in Italia, infatti, spiega il Censis, ha raggiunto nel 2018 i 62 miliardi di euro di valore aggiunto, con un incremento rispetto al 2016 di 3,6 miliardi di euro. Il 91,7% del valore aggiunto ha origine nelle attività dei servizi, di cui la parte prevalente (il 55,7%) riguarda attività di programmazione, consulenza, data processing, portali web. Si riduce invece la capacità di creare valore delle telecomunicazioni, che perdono 1,2 miliardi di euro in due anni. 

Tra il 2016 e il 2018 il settore ict ha aumentato la base occupazionale di 31.000 addetti (+4,8%). In totale il settore occupa oggi 677.000 persone. Anche in questo caso sono le attività di servizio legate alla programmazione e alla consulenza a segnare il risultato più importante, con un aumento del 7,4% nei due anni, cioè 32.000 addetti aggiuntivi. Nello stesso periodo le telecomunicazioni hanno subito invece un ridimensionamento di circa 800 addetti. 

Nel 2018 il 56,4% delle imprese italiane ha dichiarato di aver effettuato investimenti per adottare sistemi di sicurezza informatica: valori più alti tra le imprese manifatturiere (58,8%) e tra le imprese a maggiore dimensione, con almeno 500 dipendenti (86,6%).

Disuguaglianza dei redditi

Il 23,7% degli italiani riconduce la causa del rancore diffuso di questi anni alla crescente disuguaglianza nei redditi e nelle opportunità di lavoro e il 25% individua in una giustizia troppo favorevole nei confronti dei ricchi, dei privilegiati e dei più spregiudicati un altro elemento che giustifica il risentimento. La ripresa senza salario, infatti, annota nel tradizionale Rapporto, caratterizza ancora l’andamento economico dell’Unione europea. Tra il 2013 e il 2018 infatti si è ampliata la forbice tra la crescita del Pil e la crescita dei salari reali. Nel 2017 la distanza era di 2,2 punti, nel 2018 a un incremento del Pil del 2% ha corrisposto un aumento dei salari pari allo 0,7%. Il 12,2% degli occupati in Italia è a rischio povertà, non sorprende quindi che 3 italiani su 4 siano favorevoli all’introduzione del salario minimo per legge. La percentuale è più alta tra gli occupati (75,3%) e tra chi dispone di un reddito basso (l’80,7% con un reddito fino a 15.000 euro annui) o medio-basso (il 78,7% con un reddito compreso tra 15.000 e 30.000 euro annui).

Redditi medi dei professionisti

Ma anche per i professionisti è difficile un ritorno alla crescita. Tra il 2013 e il 2017 i redditi medi annui dei liberi professionisti si sono ridotti in termini reali del 2,9%, passando da 34.678 euro in media a 34.022 euro, con una perdita di 656 euro. Del tutto diversa è invece la situazione dei professionisti dipendenti (iscritti alle Casse previdenziali delle professioni), che guadagnano in termini nominali circa 5.000 euro all’anno nel periodo considerato (+7%). Il gap di genere appare ancora netto, dice ancora il Censis: la differenza di reddito tra i professionisti uomini e le donne è di circa 15.000 euro (si posizionano rispettivamente al 122% e al 78% del reddito medio). La distanza tra il reddito medio e quello di un professionista con meno di trent’anni si avvicina a 21.000 euro. La differenza tra un professionista del Nord e uno del Mezzogiorno supera i 14.000 euro a favore del primo.

E ad aggiungere peso su peso ci pensa la burocrazia a cui gli italiani appaiono assolutamente rassegnati. Se tra il 2017 e il 2019 aumenta di 10 punti percentuali la quota dei giudizi positivi sulla Pa aumenta anche quella per i quali c'è un eccesso di burocrazia, troppi adempimenti, autorizzazioni e controlli che intralciano il rapporto tra cittadini e amministrazione (secondo il 33,2%, 10 punti in più rispetto al 2017).

 

I più letti