A C. M. Raimondo tributo alto ma no tragedia nostri nonni
(di Luca Prosperi) (ANSA) - CASTIGLIONE MESSER RAIMONDO (TERAMO), 25 APR - Chi è stato il primo non si sa. La Val di Fino, la Zona Rossa d'Abruzzo, è un luogo 'interno', eufemismo per dire tranquillo, poco popolato, colline e boschi, fabbriche in piano, casali sparsi e paesi arroccati. "Non lo sapremo mai chi sia stato l'untore numero uno di questi 5 paesi della Val di Fino chiusi dal 17 marzo e riaperti ieri, ma certo le fabbriche e le aziende della vallata che hanno tanti contatti con il nord e la Lombardia ci aiutano a capire che è da lì che tutto è nato. Un peccato anche perché io chiedevo la zona rossa da 6 giorni prima e invece... Comunque, vedi i contagiati, senti chi è morto e capisci che i bar sono stati cruciali, tutto parte da lì". Vincenzo D'Ercole è un giovane sindaco di Castiglione in trincea da mesi. Da ieri in un colpo si trova a gestire 3 Liberazioni: la sua dopo 35 giorni di isolamento per positività, quella dopo lo stop alla zona rossa e il 25 aprile Festa della Liberazione che ha celebrato col prete. Erano paesi chiusi, isolati, posti di blocco alle strade. I carabinieri non possono parlare, ma se li incontri nelle deserte e assolate e fresche strade dei paesi della val Fino ti dicono "sono stati bravissimi, cittadini esemplari, modello, mai una multa". Castiglione è la Brembo, la Vò del Centrosud: c'è un rapporto di 0,6% tra morti e cittadini: "E se pensate che tra i nostri duemila residenti 250 sono ultra ottantenni, capite perché chiedevamo la zona rossa con urgenza: se non è stata una strage siamo stati fortunati - prosegue il sindaco, che si pulisce le mani col gel ogni 5 minuti - arrivavano ambulanze come se fossimo a Roma, quando se ne vedeva semmai una al mese qui. Insomma per noi è stata dura, ti cambia la vita, abbiamo 30 anni, è una cosa più grande di te, ti distrugge dentro". Una giunta di ragazzi, alcuni anche di 25 anni, buttati nella fornace del coronavirus, cresciuti per loro stressa ammissione di anni in poche settimane: un assessore che ha una azienda di pompe funebri "ma avrei preferito stare in cassa integrazione, piuttosto che...". E la morte, i funerali non fatti, che come dice don Michele "ci darà un problema di lutto collettivo non elaborato molto grave. Di massa. Anche perché qui oltre ai numeri è fatto ancora molto sentito proprio quel trapasso della memoria, le messe nei periodi successivi, persino i rinfreschi, c'è una antica civiltà che si tramanda". Perché lo Stato ha funzionato "non ci siamo mai sentiti soli, è vero, a parte il presidente della Regione che non mi ha mai chiamato, ma sapete quale è il rischio? Che a leggere di Milano quelli sono numeri, mentre per noi sono persone in carne ed ossa che incontravi tutti i giorni - interviene il sindaco - a me sono morti due vicini di casa". "Gli amici ogni tanto adesso provano a dire forza vediamoci usciamo ecc, ma io quella vita là come faccio a farla più? - esordisce un giovane assessore - qui siamo al secondo giro di mascherine, mentre ci sono paesi che non hanno iniziato il primo". Davanti al sagrato don Michele ha piazzato altoparlanti potenti per dire la messa al paese tutte le mattine: oggi era S.Marco e nell'omelia parlava 'del diavolo che è ancora tra noi'.
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