Burkini, bikini e polemiche

Spettacolo

Maria Teresa Squillaci

La top model Halima Aden in prima fila durante la New York Fashion Week
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Mentre il caso di Firenze riaccende in Italia il dibattito sul costume da bagno integrale, le modelle Taleedah Tamer e Halima Aden diventano il simbolo della forza delle donne arabe

Sono di moda Taleedah Tamer e Halima Aden. Taleedah, 17 anni, è la prima modella saudita ad aver sfilato sulle passerelle dell’Alta Moda a Parigi. Con il suo rifiuto di portare il velo dice di voler mostrare al mondo la forza delle donne arabe.

Halima Aden, 20 anni, è la top model che per prima ha sfilato con il velo durante la Milano Fashion Week 2017. Nata in un campo profughi in Kenya, a 6 anni è arrivata a New York per poi divenire cittadina statunitense naturalizzata. Prima di essere scoperta da Kanye West e da Alberta Ferretti, nel novembre 2016, è stata la prima concorrente a voler gareggiare per Miss Minnesota in burkini. Il presentatore del concorso disse che Aden stava "facendo la storia" scegliendo di salire sul palco indossando il costume da bagno integrale solo pochi mesi dopo che in Francia alcuni comuni lo avevamo messo al bando perché “incompatibile con i valori francesi”. La polemica sul costume da bagno integrale si è riaccesa anche in Italia dove una donna araba che lo indossava sarebbe stata allontanata da una piscina comunale a Firenze.

Il burkini, nome che nasce dalla fusione tra burka e bikini, è stato al centro del dibattito fin dal 2004 quando è stato ideato e registrato come marchio dalla stilista australiana di origine libanese Aheda Zanetti. Pensato per permettere anche alle osservanti musulmane di non rinunciare a spiagge o piscine pubbliche, è stato visto da alcuni come uno strumento di integrazione, da altri come l’espressione di un'ideologia basata sull'asservimento della donna. Bisogna ricordare però che nel 1946 l’introduzione del bikini ebbe un effetto simile. Il suo inventore Louis Réard decise di dare quel nome al costume che per la prima volta lasciava scoperto l’ombelico in onore dell’atollo del Pacifico in cui pochi giorni prima era stato fatto esplodere un ordigno nucleare: anche il bikini sarebbe stata una bomba atomica sociale.

Sicuramente per l’industria della moda il burkini rappresenta un business in crescita. Il primo boom si deve alla sua adozione da parte del governo australiano come divisa ufficiale delle bagnine di religione musulmana. Nel 2016 Marks & Spencer, storico marchio britannico, ha deciso di produrre una sua linea. Il burkini made in Italy è stato presentato alla Milano Fashion Week 2016, durante la sfilata della stilista Raffaella D’Angelo. A indossarlo in passerella c’era Federica Pellegrini.

Da tempo gli stilisti internazionali hanno creato delle linee dedicate alla cultura e alle donne musulmane, intuendo le potenzialità del mercato. Jean Paul Gaultier nel 2012 ha inaugurato con la sua sfilata la World Luxury Fashion Week di Abu Dhabi. Dolce & Gabbana, se non proprio un burkini, hanno firmato una collezione black & white di hijab e avaya, la lunga veste tradizionale delle donne musulmane.

Esiste anche un termine tecnico, “modest fashion”, usato per definire la moda pensata per le donne che scelgono di coprire determinate parti del corpo pur rimanendo attente alla moda. Secondo lo State of the Global Islamic Economy Report, si prevede che le consumatrici musulmane spenderanno nel 2021 circa 368 miliardi di dollari.

Ma prima delle potenzialità di mercato c’è la libertà di scelta. Taleedah Tamer ha raccontato in un’intervista: “Quando da bambina vedevo le fotografie delle modelle sui rotocalchi mi domandavo: ‘perché non si può essere alla moda in una maniera rispettosa anche della nostra cultura?”.

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