Ai due imputati per tentata violenza sessuale
La quarta sezione penale della Cassazione ha confermato la sentenza della corte d'appello di Firenze che il 28 aprile scorso ha condannato a 3 anni Alessandro Albertoni e Luca Vanneschi per tentata violenze sessuale su Martina Rossi. La giovane studentessa genovese è morta il 3 agosto 2011 precipitando dal sesto piano di un albergo a Palma di Maiorca, dove era in vacanza con le amiche. I ricorsi sono stati dichiarati inammissibili dalla Cassazione.
Rigettare i ricorsi di entrambi gli imputati e confermare le condanne. Lo ha chiesto pg di Cassazione Elisabetta Ceniccola nella sua requisitoria per il processo per la morte di Martina Rossi, 10 anni fa in Spagna, che vede imputati i due trentenni aretini Luca Vanneschi e Alessandro Albertoni. I due sono stati condannati nell'appello bis a Firenze, il 28 aprile scorso, a 3 anni per tentata violenza sessuale di gruppo. Martina è morta a vent'anni il 3 agosto 2011 a Palma di Maiorca, dove era in vacanza con le amiche. La vicenda processuale è stata lunga, tanto che se dovesse arrivare la parola fine sarebbe nell'imminenza della prescrizione. L'udienza, dopo una breve pausa, riprenderà con le arringhe degli avvocati e la sentenza è attesa in serata.
"Quello di Martina Rossi non fu un suicidio" ma "il tentativo di fuggire ad una violenza di gruppo", come stabilito dalla Corte d'appello di Firenze: ne è convinta la pg di Cassazione Elisabetta Ceniccola, che al processo per la morte della studentessa ha chiesto la conferma della condanna dei due trentenni aretini Luca Vanneschi e Alessandro Albertoni. La requisitoria si è soffermata in particolare sulla qualificazione del reato, 609 octies, violenza sessuale di gruppo e non in concorso, dalla quale dipendono anche i termini di prescrizione (quello di morte per conseguenza di altro reato è già prescritto ed è uscita dal processo). Per la pg è giusta la ricostruzione che vede "la compresenza" dei due imputati nella stanza d'albergo di Palma di Maiorca, che "ha influito negativamente" sulla reazione di Martina, "che si è sentita maggior ragione in uno stato di soggezione e impossibilitata a difendersi". Motivo per cui la ragazza avrebbe scelto una via di fuga "più difficile", che la metteva in pericolo e non di uscire dalla porta: scavalca la balaustra "ma non si getta con intento suicidiario". Inoltre Ceniccola ha ricordato che "Martina non aveva i pantaloncini, che indossava, e non sono più stati ritrovati. Per la Corte d'appello - ha sottolineato - era illogico che la ragazza girasse in albergo senza pantaloncini e senza ciabatte". Altri elementi evidenziati dalla pg sono alcune lesioni sul corpo di Martina oltre a quelle riconducibili alla caduta dal terrazzo e i graffi di Albertoni, uno dei due imputati.
"Dovremmo essere arrivati alla fine, si spera. In passato c'è stata una catena di errori, di conteggi sbagliati. E la controparte si è presa tanto tempo, troppo": Bruno Rossi in Cassazione con la moglie Franca attende l'udienza del processo per la morte della figlia Martina.
In attesa del processo in Cassazione per la morte di Martina Rossi alcune attiviste di 'Non una di meno' si sono radunate per un sit-in davanti al Palazzaccio. Sui cartelli la richiesta di "verità e giustizia per Martina". "La violenza non va in prescrizione, la violenza non si cancella", hanno scritto. Su un altro striscione le foto della studentessa ventenne.
Alcune attiviste di 'non una di meno' si sono radunate oggi davanti al palazzo di Giustizia di Firenze, in concomitanza col processo in Cassazione a Roma per la morte di Martina Rossi. Le manifestanti hanno esposto uno striscione con la scritta "Non è un caso isolato, si chiama patriarcato". "Martina Rossi non è un caso isolato - ha ribadito una delle attiviste - noi siamo qui perché ci occupiamo di violenza di genere e di questo si è trattato".