In Italia sull'acqua investiamo meno della metà che nel resto d'Europa

Economia
Lorenzo Borga

Lorenzo Borga

Tariffe basse, investimenti in crescita ma ancora insufficienti, gestioni comunali che ancora caratterizzano il Sud Italia. Perché investiamo troppo poco sull'acqua. GUARDA IL VIDEO

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In Italia quasi metà dell'acqua (precisamente il 42,2 per cento) viene dispersa prima di arrivare a destinazione, nelle nostre case o in fabbrica o ancora nei campi da irrigare. Il motivo sta negli scarsissimi investimenti che nel nostro paese sono stati fino a oggi dedicati alla rete idrica.

 

Secondo un'analisi del precedente governo contenuta nel Documento di Economia e Finanza 2022, in Italia per portare la rete idrica al livello degli standard europei servirebbero 12,4 miliardi di euro. Per ora gli stanziamenti prevedono per i prossimi anni 4,7 miliardi di investimenti programmati. Tutto il resto è ancora da finanziare. Una buona parte dei fondi viene dal Pnrr, che prevede 2,9 miliardi di investimenti sulla rete idrica da utilizzare entro il 2026. Vi sono poi ulteriori soldi che arrivano dai fondi React Eu, e altri stanziamenti nazionali.

Fondi

E anche se riuscissimo a spendere tutti questi soldi nell'arco dei prossimi cinque anni, la media italiana rimarrebbe comunque dietro a Francia (6 miliardi di euro), Germania (7,5) e Regno Unito (9) per quanto riguarda gli investimenti sulla rete idrica.

Acqua, bollette basse in Italia

Chi può mettere quindi i soldi che mancano? Le tariffe italiane pagate dagli utenti finali sono tra le più basse d'Europa. Secondo i numeri forniti da Utilitalia nell'ultimo rapporto Blue Book, un metro cubo d'acqua a Milano, Napoli e Roma costa meno del resto d'Europa, in particolare guardando alle bollette pagate a Londra, Parigi, Vienna e Berlino.

I comuni gestiscono l'acqua per 8 milioni di persone

Potrebbero dunque essere gli operatori a investire i fondi necessari a riqualificare la rete idrica italiana. Ma anche su questo fronte rimangono delle criticità. In particolare nel Sud Italia infatti i gestori rimangono in buona parte comunali, troppo piccoli dunque per programmare investimenti e sfruttare le economia di scala della rete. I gestori comunali sono in totale 1.519, di cui oltre 1200 al Sud, fornendo servizi a poco meno di 8 milioni di persone. Nel resto dello stivale invece a gestire acquedotti, fognature e depuratori sono i cosiddetti gestori industriali, società che operano nel settore e coprono circa 47 milioni di clienti. In buona parte si tratta comunque di aziende di proprietà degli enti locali, ma di dimensioni più grandi.

 

Lo stesso Pnrr prevede tra le sue riforme la spinta per le aggregazioni nel settore, attraverso l'affidamento a gestori idrici integrati all'interno degli ambiti territoriali. In alcuni di questi tuttavia, in particolare in Campania e in Sicilia, questo processo non si è ancora concluso. Come commenta Utilitalia, in queste regioni prevalgono i "soggetti che non operano in virtù di un affidamento conforme alla normativa attuale o pro tempore vigente".

Piccolo non è bello

Questo dato è dirimente per spingere gli investimenti. Gli operatori industriali hanno infatti una capacità di spesa decisamente più elevata: i loro investimenti sono arrivati nel 2021 a oltre 56 euro per abitante, in crescita nel corso degli ultimi anni; per invece i comuni questi valori - secondo le stime - sono inferiori a 10 euro.

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