Stipendi differenziati, ecco perché con le “gabbie salariali” aumenta il divario Nord-Sud

Economia
Simone Spina

Simone Spina

Si torna a parlare di stipendi più alti dove il costo della vita è maggiore per lo stesso tipo di lavoro. L'idea riguarda il pubblico impiego ma questo meccanismo, esistente in passato in Italia, rischia di allargare ancora di più le differenze geografiche e lasciare indietro il Mezzogiorno

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Avola, Sicilia, 2 dicembre 1968. I braccianti agricoli protestano da giorni contro le paghe da fame, la polizia spara e ne uccide due. Tra i motivi dello sciopero (foto sotto), la richiesta di avere lo stesso salario degli operai dei campi di un paese vicino. Di lì a poco le gabbie salariali saranno abolite. Da più di cinquant’anni in Italia non ci sono più stipendi differenziati su base regionale o provinciale per lavori dello stesso tipo. Un sistema archiviato perché ritenuto ingiusto e perché allargava ancora di più il divario fra Nord e Sud. 

©Ansa

Stipendi diversi per i professori

Periodicamente, però, se ne torna a parlare. Da ultimo, l’idea di una loro reintroduzione per i professori, perché - è il ragionamento - un insegnante di Caserta prende lo stesso salario di uno di Bologna, dove la vita però è più cara. Case e trasporti costano di più nelle grandi città del Settentrione, dove – in compenso - ci sono servizi migliori e più opportunità.

Contratti nazionali e accordi aziendali

Per i lavoratori del settore privato le cose vanno in maniera leggermente diversa. E’ vero che tra chi ha un posto in fabbrica a Taranto e un operaio di Torino non ci sono molte differenze perché i contratti nazionali garantiscono livelli minimi di stipendio, ma con gli accordi aziendali si possono alzare i salari a livello locale per lo stesso tipo di mestiere, magari perché si premia la produttività o perché il carovita morde di più.

Disoccupazione e lavoro nero: ecco perché al Sud si guadagna meno

Il divario nelle paghe tra Nord e Sud è noto. Se ne tiene conto, per esempio, quando bisogna individuare chi è in gravi condizioni economiche: è considerata povera una famiglia a Milano con 1.700 euro al mese, a Palermo la soglia si ferma a 1.300. Secondo la Banca d’Italia in cima ai motivi di queste differenze c’è l’alta disoccupazione, che abbassa i salari nel Mezzogiorno perché con la penuria di posti si accettano anche paghe misere o in nero. Ma influisce anche il tipo di impiego: al Sud scarseggiano le grandi imprese e sono più frequenti lavori meno qualificati e, quindi, meno retribuiti. Anche per questo a Milano, in media, gli stipendi sono quasi il triplo di quelli di Vibo Valentia, ultima nella classifica delle retribuzioni medie lorde.

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