Memorandum Italia-Cina: rischi o opportunità? Ecco i numeri

Economia

Mariangela Pira

ciao_nihao

Finanza & Dintorni

Il memorandum Italia-Cina: cosa si teme e cosa sappiamo oggi. Parto da qui per una riflessione sui rapporti della Cina con gli altri stati europei. Per tutti. 

Il rapporto tra la Cina e i paesi europei negli ultimi anni è spesso oggetto di discussione. Che si riaccende ogni volta che un leader cinese arriva in Europa.

Basta vedere questo articolo di Foreign Policy datato ottobre 2015 (https://foreignpolicy.com/2015/10/23/china-britain-trade-uk-xi-jinping-cameron-nuclear-investment/): si chiede se la Gran Bretagna sarà comprata dai cinesi. Xi Jinping all’epoca visitava il Regno Unito. 46 miliardi di dollari di accordi, tuttora in piedi, nei settori strategici della sanità, della tecnologia, dell'aerospazio e dell'istruzione, dell'energia e dei servizi finanziari, come si può vedere in questo link: https://www.bloomberg.com/news/articles/2015-10-19/cameron-says-china-s-xi-brings-46-billion-in-deals-to-u-k- .

Interessante anche guardare ai principali partner commerciali della Cina: dopo Usa, Giappone, Corea del Sud, al quarto posto, e prima in Europa, non c'è l'Eurozona. C’è la Germania, con un interscambio di circa 150 miliardi di dollari. L’Italia è al 22mo posto con circa 40 miliardi. Del resto il terminale della ferrovia dove vengono smerciati i prodotti cinesi si trova a Duisburg. Viene definita punto d’accesso di Xi Jinping nel Vecchio Continente: l’80% dei treni in arrivo dalla Cina fa proprio qui la prima fermata europea (https://www.theguardian.com/cities/2018/aug/01/germanys-china-city-duisburg-became-xi-jinping-gateway-europe). 

Stando al Financial Times (https://www.ft.com/content/29f4814c-467e-11e9-a965-23d669740bfb ) l’Italia punterebbe a prestiti dall’Asian Infrastructure Investment Bank, una banca di sviluppo la cui ambizione è quella di raggiungere lo status della Banca Mondiale e servirà a supportare gli investimenti della Nuova Via della Seta. Una banca che quindi nasce per prestare denaro utile a finanziare i progetti infrastrutturali dell’iniziativa cinese. Banca di cui tutti, tranne gli Usa, che evidentemente non amano questo piano Marshall in salsa cinese, fanno parte. Basta andare a vedere nel sito dell'AIIB i membri del Consiglio di Amministrazione dell'istituto (https://www.aiib.org/en/about-aiib/governance/board-directors/index.html ): ci sono proprio tutti, dalla Francia alla Germania, dall’Italia al Regno Unito, dalla Danimarca alla Spagna, dal Canada all’Australia.

La Gran Bretagna qualche tempo fa affrontò in parte la bufera che vede oggi protagonista l'Italia. Indovinate quale fu il primo paese occidentale ad aderire all’AIIB? Avete capito bene, fu Londra come comunicato dallo stesso governo (https://www.gov.uk/government/news/uk-announces-plans-to-join-asian-infrastructure-investment-bank), scatenando anche in quel caso l’ira americana (https://www.theguardian.com/us-news/2015/mar/13/white-house-pointedly-asks-uk-to-use-its-voice-as-part-of-chinese-led-bank).

Il pomo della discordia oggi è costituito da un MoU, un accordo strategico tra Italia e Cina, che verrebbe firmato con l’occasione della visita del presidente Xi. La Cina pensa l’Italia sia vulnerabile o manipolabile, dice in buona sostanza il portavoce del Consiglio per la Sicurezza Nazionale della Casa Bianca.

La preoccupazione è che il MoU non parli solo di commercio ma che abbia un valore politico che riguarda un paese membro del G7 che aderisce formalmente al progetto infrastrutturale cinese. Stando agli esperti sinologi è soprattutto  l’annuncio in pompa magna che ha alimentato la  polemica. Altri paesi, come la Germania, non fanno annunci, ma affari concreti. Lo scopo forse è far sì che le nostre aziende penetrino ancora meglio un mercato dove spesso si trovano a rivaleggiare con gli alleati europei. Un MoU formale peraltro non risolverà quello su cui il Paese ha più da lavorare: la capacità di fare accordi concreti come i tedeschi e gli inglesi dato che la realtà è che, ad esempio,  dopo cinque anni di trattative sul porto di Trieste ad oggi non è stato firmato ancora alcun accordo.

 

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