L'arte in ostaggio: la restituzione delle opere trafugate

Economia

Mariangela Pira

gioconda

Finanza & Dintorni

Partendo dal recente dibattito innescato dal direttore delle Gallerie degli Uffizi Eike Schimdt, una riflessione sulle opere trafugate. Non solo dai nazisti purtroppo. Buona lettura! 

Oggi vi parlo di un tema importante e che mi sta a cuore. Parto da quanto richiesto dal Direttore degli Uffizi Eike Schmidt alla Germania. Ovvero il Vaso di Fiori del pittore olandese Jan van Huysum, che ha riaperto il dibattito sulla restituzione di opere che nel tempo sono state trafugare e non solo dai tedeschi. Pensate a Napoleone o ai collezionisti del 1700 e del 1800.

Lasciamo da parte la Gioconda, che di fatto fu regalata a re Francesco I quindi non può essere annoverata tra i furti. Secondo alcuni fu lo stesso Leonardo a darla al re, per altri il suo allievo Salai. Provo comunque qui a non spegnere il dibattito sull'argomento.

So che guardiamo sempre a casa nostra (stando al calcolo dei carabinieri del Nucleo tutela patrimonio dello stato, i pezzi d’arte spariti durante la Seconda Guerra Mondiale in Italia sono oltre diecimila e quattrocento), ma durante i primi anni di sviluppo dell’archeologia, gran parte dell’attività consisteva nel vero e proprio saccheggio di oggetti antichi, in particolare dalle civiltà greche ed egiziane. 

E indovinate chi fu uno dei primi? Giovanni Belzoni (1778-1823), un italiano vigoroso che aveva collezionato reperti archeologici dall’Egitto, come il preziosissimo sarcofago di Ramesses II, che poi divenne parte della collezione del British Museum. Moltissimi oggetti sono stati rimossi dall’Impero ottomano (che includeva le moderne Grecia e Turchia), per essere esibiti in collezioni private o donati ai musei.

Come non citare Lord Elgin (1766-1841), ambasciatore britannico dell’Impero ottomano, capace di rimuovere e spedire a Londra una raccolta di sculture dal Partenone di Atene (Elgin per me prende la lode nella laurea ‘Trafugare opere d’arte’!). Non è un caso che oggi siano noti come ‘i marmi di Elgin’, che nel 1816 vennero acquistati dal British Museum.

Insomma, questo antico retaggio si sente fino ai giorni nostri dato che i più prestigiosi musei, dal Metropolitan di New York al Louvre di Parigi, contengono artefatti provenienti da altre parti del mondo, la cui provenienza non è documentata e la cui proprietà spesso è contestata.

A settembre a Pergamo, in Turchia, mi ha lasciata perplessa vedere che interi blocchi siano stati portati via e trasportati al al Pergamon (appunto) Museum di Berlino. Ma il bellissimo altare greco appartiene a Pergamo. 

Molti di voi saranno stati ad Atene, ma non so quanti dopo il 2009, anno dell’apertura del nuovo museo per ospitare le sculture del Partenone. I citati ‘marmi di Elgin’, per dire, sono stati sostituiti da calchi. E’ giusto? Io penso di no. E la delusione di chi ha pensato con cura la nascita del nuovo museo credo contraddice vecchie tesi secondo le quali se i resti archeologici ateniesi fossero stati altrove sarebbe stato più sicuro, sarebbero stati trattati meglio. Di certo oggi non è il museo di Atene che beneficia economicamente dei suoi marmi. 

Fatti come questo aumentano di peso una problematica già di per sé corpulenta e che i musei prima o poi dovranno affrontare: restituire gli oggetti rimossi nel 18mo e 19mo secolo ai legittimi proprietari. Come ben spiegato da Schmidt, quello che si può fare è chiedere la restituzione volontaria (di più non si può) dei beni trafugati.

 

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