Magneti Marelli, un altro pezzo di storia italiana se ne va

Economia

Mariangela Pira

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Finanza & Dintorni

Magneti Marelli ha trovato un acquirente che l'ha comprata, pagandola cara. La speranza è che si metta in piedi una strategia europea sugli investimenti stranieri nel vecchio continente. 

E' considerata da sempre il gioiellino di casa Fiat: si tratta di Magneti Marelli, azienda storica e sinonimo per eccellenza di 'made in Italy'. Ebbene, se ne va, a un prezzo che viene considerato molto positivo da parte degli analisti che si aspettavano il gruppo venisse ceduto per una quantità inferiore. Si era parlato di un valore tra i 4,5 e i 5 miliardi di euro. Ma tra Magneti Marelli e la controparte giapponese sono moltissime le complementarietà per questo Calsonic è stata disposta a sborsare di più. Le evita molte sovrapposizioni di attività e c'è chi parla di vero e proprio 'affare' per FCA. Vedremo se sarà anche un affare per l'Italia.

Perché di fatto è un'altra grande perdita dopo, per citarne alcune, l'acquisizione di Pirelli da parte della cinese Chemchina e Italcementi da parte di Heidelberg Cement. Per non parlare poi del mondo della moda. Certo, alla fine Pirelli ha potuto espandersi in un mercato dove aveva bisogno di una spinta, quello cinese e del sud-est asiatico. La testa è rimasta in Italia e i cinesi sono stati molto rispettosi nell'importante fase di passaggio. 

Di fatto però è l'Asia che sta vincendo la partita su settori a noi carissimi e che rappresentano una eccellenza, la meccanica di precisione, la componentistica auto, la robotica. E la partita da questa parte del globo e a mio modo di vedere, non è solo italiana. E' europea. Basti pensare a quanto accaduto in Germania: inutili i tentativi di Angela Merkel di bloccare, due anni fa, l'acquisizione da parte della cinese Midea del gioiellino di robotica tedesco Kuka. Che ha dato i cinesi il know- how necessario in uno dei settori chiave del momento. Il "Ratto di Kuka" lo avevo definito nel libro "Fozza Cina", scritto con Sabrina Carreras.

Ora, se arriva una società straniera e mette sul piatto un certo valore, e si sa che gli azionisti accetteranno perché ne trarranno beneficio, come si fa a impedirlo? Solo se si ha una strategia coerente, comune e di lungo termine rispetto a questi giganti. Forse. O una legge all'americana come ipotizzato da Alberto Forchielli, Managing Director di Mandarin Capital Partners, che valuti ogni acquisizione con un comitato (come il CFIUS, ovvero il Comitato sugli investimenti esteri negli USA) che impedisca, se il caso, a un'azienda straniera di effettuare una acquisizione sul mercato locale. Soprattutto quando si individuano questioni strategiche o di interesse nazionale. Se tutto venisse gestito sulla base di un concetto di libero mercato, reale e concreto con le stesse regole per tutti, in Asia come in Europa, forse le cose sarebbero diverse. Ci sono dei pseudo CFIUS regionali, ci sono anche dei nuovi screening da parte di Bruxelles rispetto agli investimenti diretti da parte straniera. Ma niente di strutturato e che risponda seriamente al problema. 

E noi? Siamo un paese piccolo ma che sul fronte della robotica, dell'automazione avanzata, del biomedicale e dell'aerospaziale, della componentistica di vario tipo, dei nuovi material, ha molto da dire. Ci conviene iniziare a pensare ad una strategia di medio termine che non butti tutto questo sapere nel cestino. E' in gioco il futuro di quella che la stessa Moody's ha definito un'economia ampia e diversificata, con grandi e medie aziende competitive a livello globale. 

 

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