Marchionne, una figura che divide

Economia

Mariangela Pira

Finanza & Dintorni

C'è chi lo osanna, per gli importanti risultati dal punto di vista economico, e chi lo critica, perché le ricadute sul fronte occupazionale non sono state altrettanto felici. 

Come era ovvio, una figura come quella di Sergio Marchionne non poteva raccogliere un giudizio univoco. Cerco quindi di raccontarvi come la vedo io sulla base di una serie di interviste fatte e di pareri raccolti. 

Se mi si dovesse chiedere quale è stata la grande intuizione del manager, risponderei quella di aver individuato in Chrysler - comprata per un tozzo di pane -  il partner con cui sposarsi. E’ l’operazione che dà a Fiat la dimensione globale necessaria a sopravvivere e l'accesso al mercato USA.  Marchionne è stato abile a puntare su un’azienda americana in crisi, con tanti marchi - Jeep per esempio - che potevano essere rilanciati. Di fatto ancora oggi gli Stati Uniti sono quelli che sostengono tutto il gruppo. Tutto il gruppo, ripeto. Se gli stabilimenti italiani vanno avanti è grazie agli USA. Ma non solo. 

Aiutano anche i margini enormi in Brasile e Polonia (évidemment, visto il basso costo del lavoro), e l'azzeramento del debito finanziario, che permette al gruppo di prendere a prestito dei soldi per finanziare i suoi investimenti a tassi molto convenienti. Il problema è stato e continua a essere l'Italia, dove il gruppo continua a perdere molti soldi in mezzo a una crisi da sovrapproduzione generalizzata, che attanaglia tutti gli stati e dove l'unica possibilità è aumentare la produzione tagliando i costi. 

Tra i sindacati c'è chi ha capito il ragionamento di cui sopra (un operaio mi ha detto: "è vero, il mio stipendio è sceso ma senza di lui probabilmente avrei perso il lavoro") e chi lo ha fortemente criticato. L'accusa è quella di aver stravolto tutte le conquiste operaie. Del resto, se da un punto di vista economico il gruppo ha raggiunto importanti risultati, dal punto di vista delle ricadute occupazionali le cose sono andate diversamente.

C'erano 130 mila dipendenti diretti e oggi sono poco sopra le 50.000 unità. Marchionne è stato criticato per aver introdotto un nuovo modello produttivo, il World Class Manufacturing, che significa in sostanza massima efficienza o – come sostiene parte dei sindacati – più sfruttamento, lavorare di più nella stessa unità di tempo. Un cambio di pelle anche dal punto di vista industriale. Marchionne punta a trasformare gli stabilimenti italiani in produzioni di nicchia, secondo lui l’unica soluzione per non tagliare salari né lavoro e non avere stabilimenti in perdita. L’obiettivo era quello di tornare quest’anno alla piena occupazione. Ma se a Cassino, lo scorso anno, sono stati inseriti oltre 800 giovani, e a Melfi FCA ha fatto quasi 2000 assunzioni convertite in contratti a tempo indeterminato, nella stessa Melfi, a Pomigliano e in altri stabilimenti restano fortissime incognite.

L'occupazione e un'industria che cambia (auto elettriche, guida autonoma) saranno le sfide del prossimo amministratore delegato Mike Manley.

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