Confindustria: "Perso il 15% di potenziale manifatturiero"

Economia

Secondo un rapporto del centro studi tra il 2007 e il 2012 bruciati oltre 500mila posti di lavoro. La contrazione del credito delle banche mette a rischio anche le aziende sane.  Squinzi: "L'Italia ha bisogno di crescere". E lancia 5 proposte

Un 15% del potenziale produttivo perso negli ultimi cinque anni, 539mila posti di lavori in meno dal 2007 e il credit crunch che mette a rischio anche le aziende sane. Sono questi i dati allarmanti sull'economia resi noti dal Centro Studi di Confindustria nel rapporto sugli scenari industriali del Paese dal significativo titolo "L'alto prezzo della crisi per l'Italia".

Chiudono 40 imprese al giorno - "La crisi ha già causato la distruzione di oltre il 15% del potenziale manifatturiero italiano, con una punta del 40% negli autoveicoli e cali di almeno un quinto in  14 settori su 22", sottolinea il Csc, spiegando che in questa situazione, per tornare ai livelli pre-crisi, non basterà un aumento della domanda ma occorrerà ricreare una considerevole parte della capacità produttiva. Tra la fine del 2007 e la fine del 2012 il numero di imprese manifatturiere è diminuiti dell'8,3%, con un saldo, tra imprese nate e quelle cessate, di meno 32 mila. Un trend che si è concentrato soprattutto nell'ultima fase del periodo preso in considerazione, con 55mila aziende che hanno chiuso i battenti soltanto nel triennio 2009-2012. Nel presentare il rapporto il vicepresidenze di Confindustria Fulvio COnti ha inoltre aggiunto che "ogni giorno in Italia chiudono 40 imprese manifatturiere".

In crisi soprattutto il settore auto
- Il dato medio nasconde una forte differenza fra i risultati conseguiti nei diversi comparti manifatturieri: i settori a soffrire  di più sono quelli di autoveicoli e legno. Hanno subito una  variazione dei volumi di produzione, dal terzo trimestre 2007 al primo trimestre 2013, pari al -45,1% per l'auto e di -25,9% per il comparto  legno, da cui sono però esclusi i mobili che invece subiscono un gap inferiore. Seguono i minerali non metalliferi che registrano un calo del 42% e le apparecchiature elettriche a -35,5%. Ancora, è in  sofferenza il settore tessile, che registra un calo le 34,7%. I prodotti in metallo subiscono una flessione del 33% e la metallurgia  del 29,6%. Il settore computer e prodotti di elettronica e ottica  registrano un -21,3%. Per pelle e pelletteria il gap pre-crisi si attesta a -19,4, mentre il comparto della carta subisce un calo del  16,4%. il settore dell'abbigliamento cala del 14,8%. Sono invece le bevande e gli alimenti a contenere decisamente il gap, entrambi a -1,2%.

Italia come Spagna e Francia, bene invece la Germania
- Nello stesso periodo in Germania, invece, il potenziale manifatturiero è salito del 2,2%, "anche se con alta varianza settoriale. In condizioni analoghe a quelle italiane, spiega ancora l'analisi, versano le industrie francesi e spagnole". Il rapporto sottolinea invece l'importanza di puntare sul manifatturiero: secondo le stime di Csc, nei Paesi avanzati un aumento di un punto della quota del manifatturiero si associa infatti a un maggior incremento annuo del Pil di 1,5 punti percentuali.

Persi oltre 500mila posti di lavoro - A soffrire è di conseguenza anche il mondo del lavoro. Tra la 2007 e il 2012 "la caduta di occupati nel manifatturiero ha già raggiunto le 539 mila persone e superato le -490 mila rilevate tra il 1990 e il 1994, e rischia di superare quella registrata tra il 1980 e il 1985 (-724 mila)". Ma a differenza di quanto avvenuto nei primi anni Ottanta l'espulsione di manodopera in corso non appare corrispondere a un'esigenza di ricerca di maggiore efficienza nel settore", spiega l'analisi. Non solo, sempre secondo l'analisi nel futuro si perderà altra occupazione.
A rischio anche le aziende sane, con il credit crunch, la riduzione dei prestiti messi a disposizione dalle banche, che si è ridotto del 10,1% (-26 miliardi) tra il 2011 e il 2013 nell'industria, di 9 miliardi nelle attività immobiliari e di 14 miliardi in quelle professionali.  "La perdita di prestiti lascia un vuoto difficile da colmare", spiega il rapporto.

Le cinque proposte di Confindustria - Per invertire il senso di marcia e uscire dalla crisi Confindustria suggerisce cinque punti sui quali intervenire: sburocratizzazione del Paese,  taglio dei costi per le imprese; fisco più leggero; patto  generazionale sul lavoro; detassazione degli investimenti in ricerca e innovazione.  Un progetto per il rilancio economico, industriale e sociale dell'Italia, spiega Fulvio Conti, che deve però essere "sostenuto da un governo capace di attuare quelle riforme necessarie per riportare il paese fuori dalle  secche della crisi". Ai 5 punti gli industriali aggiungono la richiesta "di agire  sulla spesa improduttiva", da cui attingere le risorse necessarie, e  di una nuova fase della spending review. "Sul tema si stanno spegnendo i riflettori mentre vediamo continuare lo spending e la review e  continua a farsi attendere", ammonisce ancora Conti.

Squinzi: "L'Italia rischia di non partecipare alla ripresa"
- Il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi ha poi aggiunto che "cresce chi è determinato a crescere, chi si inserisce nei mercati globali e chi fa dell'industria la colonna portante del proprio sistema economico". "Questa - ha aggiunto - è la lezione da imparare dai paesi avanzati ed emergenti che hanno realizzato i maggiori tassi di crescita negli ultimi anni. L'Italia ha un bisogno disperato di crescere a ritmi sostenuti, lasciandosi alle spalle le minuscole variazioni del Pil. Per fare questo dobbiamo puntare sul manifatturiero dal quale viene slancio e forza per tutta l'economia". "Una volta chiuse - ha aggiunto - le imprese non aprono più. Il rischio è che quando partirà la ripresa l'Italia non potrà partecipare perché avrà il motore rotto".

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