Una ricerca del Risj mostra come i siti d’informazione europei che non hanno alle spalle giornali o tv fatichino a coprire i costi. Su 9 casi, solo 2 sono in attivo. E in Italia gli investimenti pubblicitari in Rete sono tra i più bassi
Cresce l’uso di Internet tra i lettori, cresce la pubblicità online, cresce la sperimentazione nel mondo delle notizie in Rete, ma le testate giornalistiche che vivono solo sul web faticano ancora a trovare un modello di business che copra i loro costi operativi. È questo il risultato di una ricerca condotta dall´Istituto Reuters per lo studio del giornalismo (Risj) dell’Università di Oxford. L’indagine, che analizza alcune start-up dell’Europa occidentale, mostra come anche le imprese più innovative abbiano difficoltà a pareggiare i conti per la mancanza di modelli di business che si adattino alle nuove forme di giornalismo. Discorso diverso per i siti d’informazione che hanno alle spalle un media tradizionale: i costi, infatti, in questi casi vengono coperti anche grazie ai ricavi delle attività non in Rete.
Lo studio s’intitola “Survival is success” ed evidenzia come, in questo momento, per i siti di notizie sia già un successo sopravvivere per più di pochi anni. Sotto la lente d’ingrandimento sono finite nove testate esclusivamente online divise tra Germania, Francia e Italia. Fra queste, solo due riescono a recuperare i costi. Sono la francese Mediapart, che vive grazie a contenuti di nicchia di qualità offerti a pagamento, e la tedesca Perlentaucher, che affianca costi molto limitati a un modello di business altamente diversificato. Una delle nove testate analizzate ha chiuso dopo anni di bilanci in rosso, un’altra è stata acquistata da una rivista. Quelle che restano hanno perdite notevoli e sopravvivono grazie al sostegno di investitori esterni.
Dalla ricerca emerge che le problematiche principali che impediscono alle testate solo online di trovare spazio sono due: il mercato delle notizie in Rete è dominato ancora da siti che hanno alle spalle tv o giornali, il mercato della pubblicità online è appannaggio di pochi, grossi, nomi (come Google) e non permette ai piccoli o medi di avere ricavi significativi. In tutti e tre i Paesi scelti per l’indagine, si spendono centinaia di milioni di euro per la pubblicità su Internet. Con una differenza. Mentre in Francia e Germania, nel 2011, Internet ha raccolto circa il 20 per cento degli investimenti pubblicitari totali, in Italia si è fermato al 6,5 per cento. Nel nostro Paese, infatti, a fare da padrona è la tv: dei 6 miliardi 371 milioni di investimenti pubblicitari, nel 2011 oltre 3 miliardi e mezzo sono andati alle emittenti televisive, 971 milioni ai giornali e 412 milioni alla Rete.
Il dottor Rasmus Kleis Nielsen, che si è occupato dello studio, lancia l’allarme: “Trovare modelli di business adeguati è essenziale per il futuro del giornalismo online”. Per sopravvivere, alle start-up giornalistiche europee non basta ispirarsi a esempi americani di successo, come The Huffington Post o Politico (premiati anche con il Pulitzer 2012). “Questi modelli – spiega l’altro autore della ricerca, il giornalista italiano Nicola Bruno – possono funzionare in un mercato dei media molto grande, com’è quello degli Stati Uniti, ma non è detto che siano adatti al mercato europeo, che è più piccolo”. Secondo lo studio, è da evitare anche la concorrenza diretta con i siti d’informazione che hanno alle spalle media tradizionali (e quindi, spesso, marchi forti e più contenuti da offrire). La strada da percorrere, è la conclusione, è quella di adattare il proprio prodotto all’ambiente in cui si vive, senza sognare l’America, e di distinguerlo dagli altri in circolazione con dei tratti identificativi. Come ha fatto la testata online francese Mediapart, che ha puntato su una forma di giornalismo poco diffusa nel Paese: un duro giornalismo d’inchiesta.
Lo studio s’intitola “Survival is success” ed evidenzia come, in questo momento, per i siti di notizie sia già un successo sopravvivere per più di pochi anni. Sotto la lente d’ingrandimento sono finite nove testate esclusivamente online divise tra Germania, Francia e Italia. Fra queste, solo due riescono a recuperare i costi. Sono la francese Mediapart, che vive grazie a contenuti di nicchia di qualità offerti a pagamento, e la tedesca Perlentaucher, che affianca costi molto limitati a un modello di business altamente diversificato. Una delle nove testate analizzate ha chiuso dopo anni di bilanci in rosso, un’altra è stata acquistata da una rivista. Quelle che restano hanno perdite notevoli e sopravvivono grazie al sostegno di investitori esterni.
Dalla ricerca emerge che le problematiche principali che impediscono alle testate solo online di trovare spazio sono due: il mercato delle notizie in Rete è dominato ancora da siti che hanno alle spalle tv o giornali, il mercato della pubblicità online è appannaggio di pochi, grossi, nomi (come Google) e non permette ai piccoli o medi di avere ricavi significativi. In tutti e tre i Paesi scelti per l’indagine, si spendono centinaia di milioni di euro per la pubblicità su Internet. Con una differenza. Mentre in Francia e Germania, nel 2011, Internet ha raccolto circa il 20 per cento degli investimenti pubblicitari totali, in Italia si è fermato al 6,5 per cento. Nel nostro Paese, infatti, a fare da padrona è la tv: dei 6 miliardi 371 milioni di investimenti pubblicitari, nel 2011 oltre 3 miliardi e mezzo sono andati alle emittenti televisive, 971 milioni ai giornali e 412 milioni alla Rete.
Il dottor Rasmus Kleis Nielsen, che si è occupato dello studio, lancia l’allarme: “Trovare modelli di business adeguati è essenziale per il futuro del giornalismo online”. Per sopravvivere, alle start-up giornalistiche europee non basta ispirarsi a esempi americani di successo, come The Huffington Post o Politico (premiati anche con il Pulitzer 2012). “Questi modelli – spiega l’altro autore della ricerca, il giornalista italiano Nicola Bruno – possono funzionare in un mercato dei media molto grande, com’è quello degli Stati Uniti, ma non è detto che siano adatti al mercato europeo, che è più piccolo”. Secondo lo studio, è da evitare anche la concorrenza diretta con i siti d’informazione che hanno alle spalle media tradizionali (e quindi, spesso, marchi forti e più contenuti da offrire). La strada da percorrere, è la conclusione, è quella di adattare il proprio prodotto all’ambiente in cui si vive, senza sognare l’America, e di distinguerlo dagli altri in circolazione con dei tratti identificativi. Come ha fatto la testata online francese Mediapart, che ha puntato su una forma di giornalismo poco diffusa nel Paese: un duro giornalismo d’inchiesta.