Giovanni Falcone, dal maxi-processo a Capaci: il giudice che mise a nudo la mafia

Cronaca

Francesco Sicilia

Il magistrato, dopo un'esperienza alla sezione fallimentare del tribunale di Palermo, venne chiamato da Rocco Chinnici al pool antimafia proprio per seguire i conti che portavano a Cosa nostra. La sua carriera tra successi e polemiche, prima della strage del 1992

Per dire chi era Giovanni Falcone si potrebbe prendere in prestito una sua risposta a un giornalista, che sul finire degli anni Ottanta, gli chiese se fosse anche per paura che lasciava Palermo per trasferirsi a Roma, al ministero di Grazia e Giustizia: "Sono un siciliano, per me la vita vale quanto un bottone di questa giacca". Aveva 53 anni, il giudice Falcone quando, il 23 maggio 1992 a Capaci (FOTO), venne assassinato nell’attentato in cui persero la vita anche la moglie Francesca Morvillo e i tre uomini della scorta: Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani. "La mafia - è un'altra massima di Falcone - non è affatto invincibile; è un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio e avrà anche una fine". Quella stessa mafia che Falcone mise a nudo, facendo parte del pool che istruì lo storico maxi-processo alla Cupola.

La nascita, la laurea e i primi passi da magistrato

Giovanni Falcone nasce il 18 maggio 1939 a Palermo, dai genitori Arturo e Luisa Bentivegna. Il piccolo Falcone cresce alla Magione, enclave all'interno della Kalsa, nel cuore del centro storico di Palermo, nello stesso quartiere di Paolo Borsellino. Dopo aver frequentato le elementari al Convitto Nazionale, le medie alla Giovanni Verga e il liceo classico Umberto I, si laurea nel 1961 in Giurisprudenza. In magistratura il suo primo incarico arriva nel 1965 quando è pretore a Lentini, in provincia di Siracusa. Dopo una lunga esperienza al tribunale di Trapani, nel luglio del 1978 passa alla sezione fallimentare del tribunale di Palermo e vi resta poco più di un anno.

La chiamata di Chinnici per il pool antimafia

Dopo i mesi alla fallimentare in cui scandaglia centinaia di conti bancari, nel 1979 per Falcone (ma anche per Paolo Borsellino) arriva la chiamata dell’ufficio istruzione guidato da Rocco Chinnici. Il consigliere istruttore del maxi-processo "ingaggia" Falcone nel pool antimafia per la sua abilità nel decifrare documenti contabili e finanziari. Un nuovo metodo, il cosiddetto "Follow the money" (ovvero segui i soldi), che viene per la prima volta applicato dopo un sequestro di eroina. Falcone ottiene collaborazione dalla Dea, l’agenzia federale antidroga statunitense, dall'Fbi dall’Interpol e comincia a fare la spola tra Italia e America. Il magistrato arriva così ai narcodollari.

L’inchiesta "Pizza connection" e l’uccisione di Chinnici

Anche grazie alle intuizioni di Falcone, decolla l’inchiesta "Pizza connection" e finiscono sotto processo le famiglie mafiose degli Spatola, Gambino, Inzerillo, attive in Sicilia e negli Usa. Nel 1983 la mafia uccide, a Palermo, Chinnici e la sua scorta. Da quel momento pure Falcone è nel mirino di Cosa nostra. Chinnici viene sostituito da Antonino Caponnetto e l'ufficio istruzione continua il lavoro che porterà alla sbarra decine di esponenti mafiosi.

Il maxi-processo a Palermo

Falcone con Paolo Borsellino, Giuseppe Di Lello, Paolo Guarnotta si comunicano tutti i dati che vanno via via acquisendo. Nel frattempo da un rapporto di denuncia del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, ucciso anche lui dalla mafia nel 1982, contro 185 presunti mafiosi prende corpo il primo maxi-processo di Palermo. Quando il pool deposita gli atti, gli imputati saranno 475, alla fine verranno spiccati 366 mandati di cattura. Un’intera generazione di mafia viene posta fuori gioco prima ancora del dibattimento. Ma soprattutto sono già 30 i pentiti e tra questi c'è soprattutto Tommaso Buscetta, il collaboratore che ricostruisce organizzazione e struttura di Cosa nostra, rivelando tutto proprio a Falcone.

La nomina di Meli per il pool e le polemiche

Il pool entra in crisi nel 1988, quando il Csm nomina Antonino Meli e non Falcone nella successione ad Antonino Caponnetto. Il nuovo dirigente ha una visione diversa del processo alla mafia e scoppiano le polemiche. Di Lello esce dal pool, Borsellno si trasferisce alla procura di Marsala, Falcone chiede il trasferimento ad altro ufficio.

Le lettere anonime e l’attentato fallito all’Addaura

Il 1989 è un anno caldissimo, a ridosso dell'estate circolano lettere anonime che accusano Falcone, altri giudici ed i vertici romani della polizia di avere dato licenza di uccidere al pentito Contorno in cambio di informazioni per la cattura dei superlatitanti. Il 19 giugno 1989 un ordigno esplosivo viene trovato fra gli scogli sotto una villa all’Addaura, sulla costa di Palermo, presa in affitto dal giudice. I candelotti vengono disinnescati, Falcone parla per la prima volta di "menti raffinatissime che tentano di orientare certe azioni della mafia". E aggiunge: "Esistono forse punti di collegamento tra i vertici di Cosa Nostra e centri occulti di potere che hanno altri interessi. Ho l’ impressione che sia questo lo scenario più attendibile se si vogliono capire davvero le ragioni che hanno spinto qualcuno ad assassinarmi". Una settimana dopo il fallito attentato, Falcone viene nominato procuratore aggiunto a Palermo.

Nel 1991 la chiamata al ministero della giustizia

Alla Procura di Palermo, Falcone rimane poco meno di due anni. Sono mesi costellati anche questi da polemiche con esponenti politici, tra cui quella con il sindaco di Palermo Leoluca Orlando che accusa il giudice di nascondere "le prove nei cassetti". Nel febbraio del 1991, Falcone vola a Roma, chiamato da Claudio Martelli, allora ministro della Giustizia, alla direzione degli affari penali. Per il magistrato palermitano continuano ad arrivare successi, con la creazione della Dia (Direzione investigativa antimafia) e della Dna (Direzione nazionale antimafia), ma anche amarezze. Quando, concorre a superprocuratore, ufficio che egli stesso ha contribuito a creare, i suoi colleghi lo accusano di eccessiva vicinanza al potere politico.

La strage di Capaci e le manifestazioni contro la mafia

Falcone subisce attacchi violentissimi, non solo dalla mafia e dalla politica. Anche Palermo lo amerà all'unanimità soltanto dopo la morte nell'attentato sull'autostrada che collega l'aeroporto di Punta Raisi al capoluogo siciliano, poco prima delle 18 del 23 maggio 1992. "A questa città vorrei dire: gli uomini passano, le idee restano. Restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini", è un’altra delle frasi di Falcone più ricordate. Diventerà, ripresa in uno dei lenzuoli esposti a Palermo contro la mafia, in seguito all’uccisone anche di Borsellino: "Non li avete uccisi: le loro idee camminano sulle nostre gambe", ancora oggi uno degli slogan delle manifestazioni in cui ogni anno vengono commemorati i due magistrati assassinati nel giro di due mesi nel 1992.

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