Federico Aldrovandi e la morte dopo un controllo di polizia: le tappe della vicenda

Cronaca
Federico Aldrovandi. A destra la mamma del ragazzo, Patrizia Moretti, con la foto del figlio morto
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Il 18enne è deceduto il 25 settembre 2005. Dopo un lungo processo, quattro agenti sono stati definitivamente condannati a 3 anni e mezzo di carcere per omicidio colposo. Ma, tra le polemiche, grazie all'indulto hanno scontato 6 mesi e sono tornati in servizio

Federico Aldrovandi è morto a Ferrara il 25 settembre del 2005. La sera prima, il 18enne era andato con gli amici in un locale di Bologna. Poi, sulla strada del ritorno, poco prima dell’alba, il controllo della polizia, la colluttazione e la morte. I giudici, dopo un lungo processo, che si è concluso in Corte di Cassazione, hanno attribuito la morte del ragazzo a un "eccesso colposo nell'uso legittimo delle armi" da parte dei quattro agenti della questura di Ferrara intervenuti per il controllo. I poliziotti Monica Segatto, Paolo Forlani, Enzo Pontani e Luca Pollastri sono stati definitivamente condannati a 3 anni e mezzo di carcere per omicidio colposo. Il caso Aldrovandi, soprattutto grazie a un blog aperto dalla mamma del ragazzo, Patrizia Moretti, è stato a lungo al centro del dibattito.

Chi era Federico Aldrovandi 

Federico Aldrovandi nasce a Ferrara il 17 luglio 1987. Il padre è un agente di polizia municipale, la mamma impiegata al Comune. Quando arriva il momento di scegliere la scuola superiore si iscrive all’Itis elettronica. Come molti ragazzi della sua età, ha diversi hobby e nel tempo libero svolge molte attività. A scuola, racconta Filippo Vendemmiati nel suo documentario, “È stato morto un ragazzo”, il 18enne è impegnato in un progetto della Asl ferrarese per la prevenzione delle tossicodipendenze. Federico è tifoso della squadra di calcio cittadina, la Spal, ama la musica e i concerti. Suona anche il clarinetto e, fin da quando aveva 11 anni, prende lezioni di karate, altra sua grande passione. Di tanto in tanto lavora come pony express in una pizzeria della città. Prima di morire, era in attesa di sostenere l’esame per la patente. 

Le ultime ore

Poche ore prima di morire, Aldrovandi va con alcuni amici in un centro sociale di Bologna. Il gruppo è lì per ascoltare un concerto di musica reggae. Nel corso della serata, come confermato poi dagli esami, assume modeste quantità di droga e alcol. Prima dell’alba, il gruppo rientra a Ferrara. Federico, descritto come lucido dagli amici, si fa lasciare nei pressi di via Ippodromo, non lontano da casa, per fare quattro passi prima di andare a letto. In quel momento, in quella zona di Ferrara, circola una pattuglia con due poliziotti a bordo che ferma il ragazzo. Gli agenti diranno che Aldrovandi era un “invasato violento in evidente stato di agitazione”. I militari dicono anche di esser stati aggrediti e per questo di aver poi chiamato rinforzi. In via Ippodromo arriva subito un’altra volante con a bordo due agenti. I poliziotti e Aldrovandi si scontrano. Al termine della colluttazione vengono ritrovati due manganelli in dotazione alle forze dell’ordine spezzati. Poco dopo le 6 del mattino, gli agenti chiamano un'ambulanza che, in pochi minuti, raggiunge via Ippodromo. I sanitari dichiarano di aver trovato Aldrovandi “riverso a terra, prono con le mani ammanettate dietro la schiena”. Provano a rianimarlo. Ma poco dopo ne accertano la morte per “arresto cardio-respiratorio e trauma cranico-facciale”.

54 tra lesioni ed ecchimosi

Aldrovandi viene dichiarato ufficialmente morto poco dopo le 6 del mattino. I genitori, che intanto cercano di rintracciarlo chiamandolo al cellulare e provando a contattare ospedali e questura, vengono avvisati della scomparsa del figlio solo alle 11, ovvero 5 ore dopo quel che è accaduto in via Ippodromo. Da subito la versione ufficiale è che Federico è morto a causa di un malore. Una ricostruzione che però non convince i genitori del ragazzo. Soprattutto perché su tutto il suo corpo sono state rinvenute 54 tra lesioni ed ecchimosi.

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Il blog e l’inizio dell’interesse della stampa

Il caso Aldrovandi, nei suoi aspetti giudiziari e mediatici, dopo mesi di stalli e silenzi, arriva a una svolta il 2 gennaio del 2006, giorno in cui la mamma del ragazzo apre un blog per far conoscere a tutti la storia del figlio. Immediatamente di Federico si comincia a parlare sui media nazionali. Alla Camera dei deputati si procede anche con un’interrogazione al ministro per i Rapporti con il Parlamento, Carlo Giovanardi, che conferma la versione della questura. Punto centrale del caso-Aldrovandi sono le perizie. Dall'inizio, quella dei magistrati e quella della famiglia sono in conflitto. L’esame scientifico commissionato dal pm afferma che Federico è morto per una “insufficienza miocardica contrattile acuta dovuta all'aumentata richiesta di ossigeno indotta dallo stress psico-fisico per la marcata agitazione psico-motoria e gli sforzi intensi posti in essere dal soggetto durante la colluttazione e per resistere alla immobilizzazione, all'ipotetica depressione respiratoria secondaria alla assunzione di oppiacei e alle turbe della ventilazione polmonare prodotte dalla restrizione fisica in posizione prona con le mani ammanettate dietro la schiena”. I risultati, però, non convincono i familiari che, con un’altra perizia, sostengono che la morte di Federico sia dovuta allo schiacciamento del suo torace. Gli agenti, sostiene l’analisi scientifica dei genitori, gli hanno tolto il respiro salendogli con le ginocchia sul dorso. Per quanto riguarda l'assunzione di droghe, invece, gli esami voluti della famiglia rilevano che la quantità di sostanze assunte dal ragazzo era la medesima rilevata dai consulenti della Procura, ma assolutamente non sufficiente a causare l'arresto respiratorio.

L’inizio del processo, tra lacune e perizie

A marzo del 2006 i nomi dei quattro agenti intervenuti la mattina del 25 settembre in via Ippodromo (Monica Segatto, Paolo Forlani, Enzo Pontani e Luca Pollastri) vengono iscritti sul registro degli indagati con l’accusa di omicidio colposo. Ad aggravare la posizione dei poliziotti, la testimonianza davanti ai magistrati di una donna originaria del Camerun che abita in zona. La signora racconta di aver assistito ad alcune fasi dello scontro e chiama direttamente in causa le responsabilità degli agenti. Intanto, nel corso del processo, una nuova perizia esclude definitivamente qualsiasi eventuale legame tra la morte di Federico e l’assunzione di droghe. Si arriva così a gennaio del 2007, quando i quattro agenti vengono rinviati a giudizio per omicidio colposo. Ad ottobre dello stesso anno c’è la prima udienza. Il processo è un susseguirsi di testimonianze, ed emergono nuovi elementi. Si scopre, per esempio, che il pm non aveva fatto alcun sopralluogo in via Ippodromo, che l’auto della polizia contro la quale, secondo la questura, Federico si sarebbe ferito da solo alla testa, non era stata sequestrata, così come i manganelli, di cui due rotti, e che il nastro con le comunicazioni tra la centrale e la pattuglia presente intervenuta era stato messo a disposizione della Procura solo molto tempo dopo i fatti. I giudici, poi, accolgono la perizia del professor Gustavo Thiene dell’Università di Padova, secondo cui la morte di Aldrovandi è stata causata da una asfissia per compressione toracica. La pressione esercitata sul tronco del ragazzo dagli agenti, dice Thiene, ha determinato lo schiacciamento del cuore e, di conseguenza, la morte.

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Le sentenze

La sentenza di primo grado arriva a luglio del 2009. Il giudice Francesco Maria Caruso condanna per omicidio colposo a tre anni e mezzo di carcere i quattro poliziotti imputati per “eccesso colposo nell’uso legittimo delle armi”. La Corte d’Appello di Bologna, a giugno del 2011, conferma quanto deciso in primo grado dal Tribunale di Ferrara e, nel giugno del 2012, la Corte di Cassazione rende definitiva la sentenza. Per i magistrati Aldrovandi è morto “per il trauma a torace chiuso”, provocato dalle “percosse da schiacciamento quando era già ammanettato”. Il tutto con la “cooperazione colposa per via della comune scelta di azione, della consapevolezza di agire insieme che avrebbe imposto di controllare anche quello che facevano i colleghi e di regolarlo. Invece gli agenti hanno trasceso colposamente i limiti consentiti al loro intervento”. I quattro poliziotti vengono sospesi per 6 mesi dal servizio.

I condannati, dall’indulto al ritorno in servizio

Gli agenti condannati, però, riescono beneficiare dell’indulto, che copre 36 dei 42 mesi previsti dalla sentenza definitiva. Il 29 gennaio del 2013, il Tribunale di sorveglianza di Bologna stabilisce che trascorreranno in carcere solo quei 6 mesi di pena residua. Dopo sessanta giorni, l’unica donna tra i quattro, Monica Segatto, viene scarcerata grazie al cosiddetto decreto svuota-carceri e le vengono concessi i domiciliari. La stessa richiesta viene invece respinta per gli altri tre poliziotti. Passati i sei mesi, gli agenti vengono reintegrati dalla polizia. Nel gennaio del 2014, tre di loro ritornano in servizio, a occuparsi in ufficio di faccende amministrative per la polizia in sedi lontane da Ferrara. Solo uno dei quattro resta a casa, a causa di una cura per “nevrosi reattiva”. La scelta di far indossare a tutti di nuovo la divisa, se da una parte trova l’appoggio di alcuni sindacati di polizia che non hanno mai fatto mancare la solidarietà ai colleghi, dall’altra provoca la dura reazione della famiglia Aldrovandi. Per Patrizia Moretti, mamma di Federico, sono “simbolo dell’impunità”.

Il 29 settembre Ferrara ricorda Federico

In tutti questi anni di battaglia giudiziaria, a Federico è stata dedicata una onlus, sorta come evoluzione del comitato “Verità per Aldro”, fondato nel gennaio del 2006. L’associazione, si legge sul sito, “ha lo scopo di sensibilizzare e promuovere l’informazione sugli abusi di potere delle forze dell’ordine e di qualunque soggetto in posizione dominante”. Non solo. È anche quella che contribuisce a tenere viva la memoria di Aldrovandi e la sua storia. Per questo, ogni anno, in occasione dell’anniversario della morte del giovane, organizza iniziative per ricordare ciò che è accaduto il 25 settembre del 2005 in via Ippodromo. "Il 25 settembre di ogni anno, giunta l'alba, si ripete quello che per me rimarrà per sempre un incubo, o peggio, il ricordo orribile dell'uccisione di un figlio da parte di chi avrebbe dovuto proteggergli la vita", ha scritto su Facebook, in occasione del quindicesimo anniversario della morte, il padre del giovane, Lino, mentre la madre, Patrizia Moretti, su Twitter ha invitato a "non dimenticare". 

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Il caso Aldrovandi nel brano di Fedez

Il caso di Federico Aldrovandi viene anche citato dal cantante Fedez nel suo  singolo Un Giorno in Pretura, del 2021. "I migliori non superano i vent’anni", il riferimento, oltre che al ricercatore friulano Giulio Regeni, al giovane studente ferrarese morto nel 2005. E, nel video del brano, con le illustrazioni realizzate dal famoso vignettista Cairo Senesi, compare anche un'immagine per Aldrovandi. La mamma del giovane, sui social, ha ringraziato pubblicamente il cantante per aver citato il figlio: "Questo brano oggi mi aiuta molto, visto che domani 2 dicembre (oggi, ndr) dovrò testimoniare a Roma per una querela dell’ex questore Graziano al Manifesto", ha scritto la donna su Twitter. E Fedez su Instagram ha risposto: "Sapere che questa canzone può in qualche modo aiutarla a trovare le energie necessarie per portare avanti questa estenuante battaglia mi rende felice e orgoglioso. Forza Patrizia, noi non dimentichiamo".

 

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