Matteo Messina Denaro, il boss tra vecchia e nuova Cosa Nostra dopo Riina e Provenzano

Cronaca
Diletta Giuffrida

Diletta Giuffrida

Matteo Messina Denaro è stato l'erede di Totò Riina e Bernardo Provenzano ed era l'unico boss mafioso ancora in libertà a conoscere i segreti delle stragi, a cominciare da quelle di Capaci e di via D'Amelio, per le quali è stato condannato all'ergastolo. Ha fatto da cerniera tra la vecchia Cosa Nostra e la nuova, segnando la fine dell'organizzazione verticistica e della sua struttura unitaria, intaccata dagli arresti e dalla frammentazione 

È stato il traghettatore di Cosa Nostra nel secondo millennio, coniugando la dimensione tradizionale e familiare della mafia siciliana con la versione più moderna. Si è mosso tra ferocia criminale e pragmatismo politico, raccogliendo l’eredità di Totò Riina e di Bernardo Provenzano. Dopo 30 anni di latitanza, anche Matteo Messina Denaro, l’ultimo boss mafioso a conoscere i segreti delle stragi, finisce dietro le sbarre (GLI AGGIORNAMENTI IN DIRETTA - LA STORIA DELLA LATITANZA - I LATITANTI ITALIANI - COSA SUCCEDE ORA). 

L’eredità di Cosa Nostra

La sua latitanza – insieme con il padre Francesco “Ciccio” Messina Denaro, altro boss della nomenclatura tradizionale - inizia all’indomani dell’arresto di Totò Riina, catturato il 15 gennaio 1993 a meno di cinque chilometri dalla casa dove aveva vissuto, da latitante anche lui per ben 24 anni, con la moglie Ninetta Bagarella. Dopo la morte del padre – nel 1998 – il giovane Matteo raccoglie il testimone dell'ala corleonese di Cosa Nostra nella provincia di Trapani e diventa a tutti gli effetti il capomafia di Castelvetrano. In linea con la strategia stragista dei corleonesi, di cui resta fedele alleato, è coinvolto nelle stragi del '92 in cui persero la vita i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Secondo gli investigatori sarebbe stato presente anche al summit voluto da Riina, nell'ottobre del 1991, in cui fu deciso il piano di morte che aveva come obiettivi Falcone e Borsellino. Diventa uomo di fiducia di Bernardo Provenzano, col quale comunica a mezzo pizzini. Nel covo di Montagna dei Cavalli, una masseria del corleonese dove Provenzano viene arrestato l’11 aprile 2006 dopo 43 anni di latitanza, vengono trovate alcune sue lettere di molti anni prima. 'Pizzini' che dimostrano lo stretto rapporto tra i due boss mafiosi e il cui sequestro, essendo stati conservati da Provenzano, avrebbe fatto infuriare Matteo Messina Denaro che nel frattempo, per lo Stato, era diventato il ricercato numero uno di “Cosa Nostra”.

La fine dell’organizzazione verticistica

A lui toccava il compito di ricostruire la struttura unitaria di Cosa Nostra, intaccata dagli arresti e a cui era seguito un processo di frammentazione interna. Un compito in cui Messina Denaro non riesce fino in fondo. La mafia rappresentata dall’ultima primula rossa infatti non è più quella dei boss precedenti come segnalano la relazione della Commissione antimafia del 2018 e quella della Dia del 2021. Se da una parte, infatti, Cosa Nostra – come avvertiva l’Antimafia – è riuscita a mantenere un'intatta "capacità di rigenerazione", un "ampio consenso sociale" e una capacità di intimidazione "alla quale ancora corrisponde, di converso, il silenzio delle vittime", dall’altra viene intaccata l’organizzazione unitaria e verticistica descritta da Tommaso Buscetta. Nell’epoca di Messina Denaro dunque non è più operativa la “commissione” che delibera stragi e delitti con un assetto militare, ma si tenta piuttosto di ricomporre la “tradizionale convivenza con lo Stato”. La mafia cambia pelle, mantenendo da una parte il suo radicamento territoriale, assicurato dalle singole "famiglie", dall’altra perseguendo sempre più la “strategia della sommersione”.

L’epilogo

Nei 30 anni in cui è rimasto latitante è stato condannato a numerosi ergastoli, per le stragi di Capaci, via D'amelio, per gli eccidi del 1993 a Roma, Firenze e Milano, oltre che per l'omicidio del piccolo Giuseppe di Matteo, 12 anni, figlio del pentito Santino, strangolato e poi sciolto nell’acido dopo un sequestro durato due anni. Pezzo dopo pezzo però l'impero miliardario accumulato da Matteo Messina Denaro è stato smontato e sequestrato, così come è stata smantellata la sua catena di protezione e di finanziamento. Quella che per 30 anni gli ha consentito di vivere come un fantasma. Fino alla mattina del 16 gennaio 2023.

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