Matteo Messina Denaro, arrestato il boss di Cosa Nostra: era latitante da 30 anni

Cronaca
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Il boss era latitante dal 1993. È stato arrestato, senza opporre resistenza, all'interno di una clinica privata di Palermo dove si trovava - sotto falso nome - per sottoporsi ad alcune terapie. Meloni: "Una grande vittoria dello Stato che dimostra di non arrendersi di fronte alla mafia"

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È finita la latitanza durata 30 anni del boss di Cosa nostra Matteo Messina Denaro, arrestato dai carabinieri del Ros in una clinica privata di Palermo (GLI AGGIORNAMENTI IN DIRETTA - LA STORIA DELLA LATITANZA - I LATITANTI ITALIANI - COSA SUCCEDE ORA). L'inchiesta che ha portato alla cattura del capomafia di Castelvetrano è stata coordinata dal procuratore di Palermo Maurizio de Lucia e dal procuratore aggiunto Paolo Guido. Raggiunto nella clinica, alla domanda di un carabiniere che gli ha chiesto il suo nome ha risposto: "Sono Matteo Messina Denaro". Cappellino, cappotto di montone da uomo e occhiali da vista scuri, tenuto sotto braccio dai carabinieri, Messina Denaro ha poi attraversato a piedi in manette per alcune centinaia di metri il viale della clinica arrivando in strada, prima di essere portato via su un mezzo dei carabinieri del Ros. Insieme a Matteo Messina Denaro è stato arrestato anche Giovanni Luppino, di Campobello di Mazara, accusato di favoreggiamento: avrebbe accompagnato il boss alla clinica per le terapie (IL VIDEO ESCLUSIVO DI SKY TG24 DELLA CATTURA DI MESSINA DENARO - LE IMMAGINI DI UNA GIORNATA STORICA).

Arrestato in una clinica privata

Matteo Messina Denaro è stato arrestato all'interno della clinica privata La Maddalena di Palermo, dove si trovava "per sottoporsi a terapie" (LA MALATTIA DEL BOSS). Dopo il blitz nella clinica, l'ormai ex superlatitante è stato portato nella caserma dei carabinieri San Lorenzo in via Perpignano, poi all'aeroporto di Boccadifalco per essere trasferito in una struttura carceraria di massima sicurezza.

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Era in clinica sotto falso nome

Messina Denaro un anno fa era stato operato alla clinica Maddalena e da allora stava facendo delle terapie in day hospital nella clinica privata: usava un falso nome, Andrea Bonafede. "In ordine all'arresto di Matteo Messina Denaro, eseguito oggi in area limitrofa all'ospedale La Maddalena, si precisa che lo stesso era in terapia oncologica, sotto falso nome, presso la Casa di cura", afferma una nota della clinica privata di Palermo. "Sono state date immediate disposizioni all'amministrazione, alla direzione sanitaria, ai medici del reparto e al personale parasanitario di fornire alle forze dell'ordine, che si ringraziano, tutta la documentazione clinica del paziente e puntuali risposte alle informazioni richieste - prosegue la nota - Si informa inoltre che nessun dipendente o collaboratore è autorizzato a rilasciare interviste e fornire alla stampa notizie coperta da segreto istruttorio".

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Il momento della cattura

La certezza su Matteo Messina Denaro è arrivata tre giorni fa. I magistrati, che da tempo seguivano la pista, hanno dato il via libera per il blitz. I carabinieri del Gis erano già alla clinica Maddalena dove, da un anno, Messina Denaro si sottoponeva alla chemioterapia. Il boss, che aveva in programma dopo l'accettazione fatta con un documento falso, prelievi, la visita e la cura, era all'ingresso. La clinica intanto è stata circondata dai militari col volto coperto davanti a decine di pazienti. Un carabiniere si è avvicinato al boss e gli ha chiesto come si chiamasse. "Mi chiamo Matteo Messina Denaro", ha risposto.

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Le indagini

Alla cattura del boss Matteo Messina Denaro i magistrati palermitani e i carabinieri del Ros sono arrivati con quella che si definisce una indagine tradizionale. Da almeno tre mesi gli inquirenti analizzavano le conversazioni dei familiari del capomafia intercettati. Spunti e battute di chi sa che è sotto controllo, ma non può fare a meno di parlare, da cui è emerso che il padrino di Castelvetrano era gravemente malato, tanto da aver subìto due interventi chirurgici. Uno per un cancro al fegato, l'altro per il morbo di Crohn. Una delle due operazioni peraltro era avvenuta in pieno Covid. Sono partite da qui le indagini. I magistrati e i carabinieri hanno scandagliato le informazioni della centrale nazionale del ministero della Salute che conserva i dati sui malati oncologici. Confrontando le informazioni captate con quelle scoperte gli inquirenti sono arrivati a certo un numero di pazienti. L'elenco si è ridotto sulla base dell'età, del sesso e della provenienza che, sapevano i pm, avrebbe dovuto avere il malato ricercato. Alla fine tra i nomi sospetti c'era quello di Andrea Bonafede, nipote di un fedelissimo del boss, residente a Campobello di Mazara. Dalle indagini però è emerso che il giorno dell'intervento scoperto grazie alle intercettazioni Bonafede era da un'altra parte. Quindi il suo nome era stato usato da un altro paziente. Le indagini hanno poi confermato che stamattina Messina Denaro, alias Bonafede, si sarebbe dovuto sottoporre alla chemio.

Il frame tratto dalle immagini dei video forniti dalla Dia di Palermo mostrano un momento della cattura risalente al dicembre scorso di Anna Patrizia Messina Denaro, 44 anni, sorella del capo mafia latitante, con l'accusa di associazione mafiosa, Palermo, 25 Dicembre 2014. ANSA/ UFFICIO STAMPA/ DIA PALERMO 

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La conferenza stampa, procuratore De Lucia: catturato ultimo stragista

Nel pomeriggio si è svolta una conferenza stampa sulla cattura di Messina Denaro. "Abbiamo catturato l'ultimo stragista responsabile delle stragi del 1992-93”, ha esordito il procuratore di Palermo Maurizio De Lucia.”Siamo particolarmente orgogliosi del lavoro portato a termine questa mattina che conclude un lavoro lungo e delicatissimo. È un debito che la Repubblica aveva con le vittime della mafia che in parte abbiamo saldato". De Lucia ha ricordato che "catturare un latitante pericoloso senza ricorso alla violenza e senza manette è un segno importante per un Paese democratico”. Pasquale Angelosanto, comandante del Ros, ha aggiunto che questo "è il risultato di un lavoro corale che si è svolto nel tempo, che si è basato sul sacrificio dei carabinieri in tanti anni. L'ultimo periodo, quelle delle feste natalizie, i nostri lo hanno trascorso negli uffici a lavorare e a mettere insieme gli elementi che ogni giorno si arricchivano sempre di più e venivano comunicati. La Procura era aperta anche all'antivigilia, è stato uno sforzo corale".

Pm Guido: salute Messina Denaro compatibile con carcere

"Ci è apparso in buona salute e di buon aspetto non ci pare che le sue condizioni siano incompatibili con il carcere”, ha detto l'aggiunto di Palermo Paolo Guido. "Era di buon aspetto, ben vestito, indossava capi di lusso ciò ci induce a dire che le sue condizioni economiche erano buone”. I Carabinieri in conferenza stampa a Palermo hanno aggiunto che “al momento della cattura Matteo Messina Denaro indossava un orologio molto particolare, con un valore di 30-35mila euro”. Poi hanno rivelato altri particolari: il latitante è stato bloccato in strada, nei pressi di un ingresso secondario della clinica La Maddalena. Il blitz è scattato quando "abbiamo avuto la certezza che fosse all'interno della struttura sanitaria". Quando è stato bloccato, hanno aggiunto, Messina Denaro "non ha opposto alcuna resistenza" e "si è subito dichiarato, senza neanche fingere di essere la persona di cui aveva utilizzato l'identità".

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Meloni: "Una grande vittoria dello Stato"

"Una grande vittoria dello Stato che dimostra di non arrendersi di fronte alla mafia", ha commentato il presidente del Consiglio Giorgia Meloni. "All'indomani dell'anniversario dell'arresto di Totò Riina, un altro capo della criminalità organizzata viene assicurato alla giustizia". "I miei più vivi ringraziamenti, assieme a quelli di tutto il governo, vanno alle forze di polizia, e in particolare al Ros dei Carabinieri, alla Procura nazionale antimafia e alla Procura di Palermo per la cattura dell'esponente più significativo della criminalità mafiosa. Il governo - ha concluso Meloni - assicura che la lotta alla criminalità mafiosa proseguirà senza tregua, come dimostra il fatto che il primo provvedimento di questo esecutivo - la difesa del carcere ostativo - ha riguardato proprio questa materia".

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Le stragi e l'omicidio del piccolo Di Matteo

In linea con la strategia stragista dei corleonesi, dei quali, come suo padre, resterà sempre fedele alleato, Messina Denaro è coinvolto nelle stragi del '92 in cui persero la vita i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Un ruolo quello di Messina Denaro emerso solo quando la Procura di Caltanissetta, che ha riaperto le indagini sugli attentati, ha chiesto la custodia cautelare per il boss di Castelvetrano e a ottobre del 2020 lo ha fatto condannare all'ergastolo per i due attentati. Secondo gli investigatori sarebbe stato presente al summit voluto da Riina, nell'ottobre del 1991, in cui fu deciso il piano di morte che aveva come obiettivi i due magistrati. I pentiti raccontano, poi, che faceva parte del commando che avrebbe dovuto eliminare Falcone a Roma, tanto da aver preso parte ai pedinamenti e ai sopralluoghi organizzati per l'attentato. Da Palermo, però, arrivò lo stop di Riina. E Falcone venne ucciso qualche mese dopo a Capaci. Un ruolo importante "Diabolik" lo ha avuto anche nelle stragi del 1993 a Roma, Firenze e Milano. Imputato e processato è stato condannato all'ergastolo per le bombe nel Continente. La sua latitanza comincia a giugno del 1993. Il boss trapanese nella sua carriera criminale ha collezionato decine di ergastoli. Oltre a quelli per le bombe del Continente, ha avuto il carcere a vita per il sequestro e l'omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio del pentito rapito da un commando di Cosa nostra, strangolato e sciolto nell'acido nel 1996 dopo quasi due anni di prigionia. Riconosciuto colpevole di associazione mafiosa a partire dal 1989, l'ultima condanna per mafia è a 30 anni di reclusione in continuazione con le precedenti. Il tribunale di Marsala per la prima volta gli ha riconosciuto la qualifica di capo nel 2012. E una pioggia di ergastoli il boss li ha avuti anche nei processi Omega e Arca che hanno fatto luce su una serie di omicidi di mafia commessi tra Alcamo, Marsala e Castellammare tra il 1989 e il 1992.

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