Covid, dalle mancate zone rosse alle mascherine taroccate: un anno di inchieste

Cronaca

Diletta Giuffrida

Dal 21 febbraio 2020, quando a Codogno veniva individuato il “paziente 1”, i fascicoli d’indagine aperti dalle Procure di mezza Italia sull’emergenza causata dalla pandemia sono centinaia. La gran parte di queste indagini, anche per le difficoltà legate a valutazioni tecnico-scientifiche su un virus ancora in parte sconosciuto, non sono ancora state chiuse

A più di un anno dall’inizio dell’emergenza Covid, sono centinaia i fascicoli d’indagine aperti nelle varie Procure d’Italia, al Nord soprattutto. Dall’inchiesta dei magistrati di Bergamo ormai a tutto campo, alle indagini milanesi sulle centinaia di morti nelle residenze sanitarie per anziani (Rsa), dal caso “camici” in Lombardia, fino alle innumerevoli inchieste sulle mascherine taroccate a cominciare da quella della Procura di Gorizia. La gran parte di queste indagini non sono ancora state chiuse (ecco le inchieste dell'ultimo anno - IL VIDEO).

L’indagine di Bergamo

Nata un po’ in sordina nell’aprile 2020, l’inchiesta della Procura di Bergamo, la prima a indagare sulla gestione dell'epidemia Covid in Italia, in particolare in Lombardia, è diventata una sorta di matriosca giudiziaria. Formalmente l’inchiesta è una sola ed è stata aperta per epidemia colposa, ipotesi di reato su cui di fatto non esiste ancora una giurisprudenza. Oggi i filoni sotto la lente d’ingrandimento dei pubblici ministeri sono tre. Il primo riguarda l’anomala chiusura e riapertura del pronto soccorso dell’ospedale di Alzano Lombardo il 23 febbraio 2020. Tra gli indagati in questo filone c’è l'ex dg del Welfare lombardo Luigi Cajazzo e l'ex direttore sanitario dell'Azienda socio sanitaria territoriale Bergamo Est. Il secondo filone d’indagine, riguarda la mancata istituzione della zona rossa ad Alzano e a Nembro, comuni della bergamasca martoriati dalla pandemia nel corso della prima ondata. Per chiarire la  responsabilità e le dinamiche delle decisioni prese in quei giorni difficili i magistrati bergamaschi hanno sentito come persone informate sui fatti, tra gli altri, l’ex premier Giuseppe Conte e il ministro della Salute Roberto Speranza oltre a diversi tecnici della direzione generale di Prevenzione dello stesso ministero. L’ultimo capitolo su cui la procura di Bergamo ha acceso i riflettori è legato al rapporto preparato nella sede di Venezia dell'Oms relativo alla gestione italiana della pandemia e al mancato aggiornamento del piano pandemico del nostro paese. In base a quanto ricostruito dai magistrati quello in vigore nel 2020, che riportava la data del 2017, altro non era che un copia-incolla di quello del 2006. In questo ambito risulta indagato per false dichiarazioni ai pm il direttore vicario dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ed ex direttore generale della Prevenzione del ministero della Salute, Ranieri Guerra.

In che situazione sarebbe stata l’Italia se avesse avuto un piano pandemico aggiornato e se fosse stato applicato? Ci sarebbe stata la stessa ecatombe in Val Seriana se a Nembro e ad Alzano Lombardo fosse stata istituita la zona rossa? Tutte domande a cui la Procura cercherà di dare risposta anche grazie alla consulenza affidata al virologo Andrea Crisanti che verrà depositata nelle prossime settimane.  Prima dell’estate si dovrebbe capire che strada prenderà l’indagine, se quella che porterà alla richiesta di un processo o al contrario se andrà verso l'archiviazione.

L’inchiesta sui “camici”

A Milano il fascicolo più delicato è quello sui cosiddetti “camici” che vede indagato, tra gli altri, il presidente della regione Lombardia, Attilio Fontana, per frode in pubbliche forniture. L’indagine parte da quei 75mila camici e 7mila set sanitari acquistati ad aprile 2020 dalla Regione Lombardia, tramite Aria - centrale acquisti regionale, per 513mila euro dalla Dama spa di Andrea Dini, cognato del governatore lombardo, e di cui la moglie di Fontana detiene il 10%. Circa un mese dopo l’affidamento diretto della commessa, mentre la stampa iniziava a interessarsi alla vicenda, Dini comunica alla Regione di voler rinunciare al pagamento dei 49mila camici già consegnati tramutando il contratto di fornitura in donazione. Nel frattempo stando a quanto ricostruito dai pm, Fontana si era mosso per far partire da un proprio conto svizzero personale un bonifico da 250mila euro in favore del cognato come risarcimento per il mancato guadagno. Da qui nasce l’ulteriore filone d’indagine che porta proprio al conto svizzero su cui il governatore aveva “scudato” 5,3milioni di euro nel 2015, soldi che avrebbe ereditato dalla madre e detenuti fino ad allora da due trust alle Bahamas. La Procura ha inoltrato alle autorità svizzere una rogatoria per approfondire alcuni movimenti finanziari. In questo ulteriore filone Fontana, che ha sempre respinto le accuse, risulta indagato per autoriciclaggio e false dichiarazioni nella “voluntary disclosure”. L’indagine preliminare è prossima alla chiusura essendo ormai “il quadro completo” fanno sapere fonti vicine alla Procura.

Tempi ancora lunghi e futuro incerto invece per l’inchiesta sull’ospedale in Fiera a Milano. L’inchiesta conoscitiva e senza ipotesi di reato né indagati era stata aperta a maggio 2020 in seguito a un esposto presentato dal Cobas secondo il quale “i 21 milioni di euro di donazioni raccolti sarebbero stati spesi in modo illegittimo per costruire una struttura poi non utilizzata avendo ospitati pochi pazienti” nel corso della prima ondata. La struttura nel corso della seconda ondata dell’emergenza covid ha accolto pazienti provenienti soprattutto dalle provincie di Brescia e Bergamo, tra le più colpite anche lo scorso autunno. Il fascicolo è ancora allo studio del pool anticorruzione di cui è a capo il procuratore aggiunto Maurizio Romanelli.  

E’ invece ancora all’inizio l’indagine degli inquirenti milanesi per frode in commercio sul presunto mercato parallelo dei vaccini che passa anche sul "dark web".

Le mascherine contraffatte

Il capitolo mascherine taroccate riguarda le procure di mezza Italia. Madre di tutte le inchieste in questo campo è quella della Procura di Gorizia avviata in seguito a una denuncia di alcuni medici. L’indagine ancora in corso, e i cui sviluppi potrebbero avere una forte eco, ha portato a un provvedimento di sequestro di 12 lotti di mascherine provenienti dalla Cina e importati a partire dal luglio 2020 dalla struttura commissariale. Si tratta di un numero enorme, 250 milioni, pari a quasi la metà del totale di quelli importati dall’ex commissario straordinario Domenico Arcuri. Mascherine ffp2 ed ffp3 distribuite nelle Rsa, negli ospedali e negli ambulatori di tutta Italia la cui capacità filtrante, dopo l’analisi di alcuni campioni in laboratorio, è risultata anche 10 volte inferiore a quanto previsto per legge. Una parte di queste mascherine, circa 65milioni, era già stata sequestrata lo scorso marzo dalla Guardia di Finanza di Gorizia. Il reato ipotizzato inizialmente dai magistrati friulani era frode in commercio ma la Procura si starebbe orientando verso la frode in pubbliche forniture. Il cambio di ipotesi di reato potrebbe far spostare la competenza territoriale dell’inchiesta altrove. La struttura commissariale figurerebbe come parte lesa. D’altra parte i 12 lotti di mascherine oggetto dell’indagine erano stati validati dal Cts, chiamato a verificare la certificazione presentata da produttori cinesi e importatori.

Le altre inchieste

Anche la Procura di Pavia è impegnata in indagini legate al Covid. Al centro dell'inchiesta dei magistrati pavesi c'è l’accordo tra il Policlinico San Matteo e la multinazionale DiaSorin per lo sviluppo di test sierologici e molecolari per la diagnosi del Covid. I pm hanno chiesto una proroga d’indagine in cui viene ipotizzato il reato di turbata libertà nella scelta del contraente e peculato. Lo scorso dicembre il Consiglio di Stato aveva ritenuta legittima l’intesa perché "risponde al fine istituzionale degli Irccs sostenere progetti di ricerca, anche privati, e validarli". Sulla scelta di Regione Lombardia di affidamento diretto alla DiaSorin per la sperimentazione di test sierologici, portata avanti dal San Matteo, anche la Procura di Milano ha aperto un fascicolo in seguito a un esposto di un’impresa concorrente. L’indagine però sembrerebbe avviarsi verso l’archiviazione.

Intanto le Direzioni distrettuali antimafia di tutta Italia hanno acceso i fari sulle mafie che puntano ad approfittare della crisi legata al Covid per arricchirsi.

 

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