Gli alpinisti spagnoli salvati su Tre Cime di Lavaredo: “Non paghiamo il conto”. Polemica

Cronaca

La coppia, che per due volte ha rifiutato i soccorsi prima del salvataggio, dovrebbe pagare tra gli 8 e i 10mila euro. "Non abbiamo chiamato nessuno", spiegano. È stata la madre di uno di loro a far scattare l'emergenza. Zaia: "Beghe familiari non mi interessano"

È polemica sul salvataggio dei due alpinisti spagnoli recuperati dall’elisoccorso sulle Tre Cime di Lavaredo al terzo tentativo, dopo che per due volte la coppia aveva rifiutato l’intervento dei soccorsi. Ora i due dovrebbero pagare un conto di 8-10 mila euro per l’attivazione delle squadre di soccorso, ma non vogliono farlo. Sostengono che la responsabilità sia della mamma di uno di loro, 'colpevole' di aver chiamato inutilmente il 118. Il presidente del Veneto Luca Zaia ribadisce però le accuse e annuncia azioni legali, dicendosi "non interessato alle beghe familiari" degli spagnoli.

Alpinisti: "Non abbiamo chiamato nessuno, non paghiamo"

"Noi non abbiamo chiamato nessuno, non paghiamo", ha spiegato in un'intervista al Gazzettino il capocordata, 45 anni, di Barcellona, che con la compagna è ancora in vacanza sulle Dolomiti. "Non siamo assicurati - ha sottolineato - ma nessuno ha richiesto l'intervento, quindi il caso è chiuso. Quello che ho letto in queste ore non è accurato: non abbiamo chiamato i soccorsi. Non c'era nessuna emergenza. Eravamo fermi per il maltempo, avevamo creato un bivacco e stavamo scendendo con i nostri tempi, senza panico. E purtroppo non c'era copertura telefonica per avvertire mia madre". Poi la precisazione: "Non siamo degli sprovveduti, come ci hanno dipinto, ma alpinisti esperti". A stretto giro, però, è arrivata la replica di Zaia: "Gli operatori hanno registrato più chiamate da parte della madre, e i nostri soccorsi sono intervenuti perché in questi casi sono obbligati a farlo".

Zaia: "Perché la terza volta hanno accettato i soccorsi?"

Il presidente del Veneto ha anche spiegato di aver dato incarico all'Ulss 1 Dolomiti di seguire "con attenzione" la vicenda e di "adire eventualmente le vie legali qualora (gli spagnoli, ndr) confermassero la volontà dichiarata nelle interviste di non pagare gli interventi dei mezzi di soccorso. Tutto questo è una lezione, qualora volessero tornare dalle nostre parti". Per Zaia, "questo non è solo un problema di costi e di utilizzo di mezzi di soccorso costosi, ma soprattutto di messa a repentaglio dell'incolumità, della vita dei nostri soccorritori". E incalza: "Visto che erano autonomi e dato che hanno rifiutato, quasi infastiditi, di essere soccorsi nelle prime due occasioni, ci spieghino per quale motivo la terza volta hanno accettato di essere recuperati e portati a valle dall'elicottero".

I "no" degli spagnoli prima del recupero

L'odissea della coppia di Barcellona era iniziata sabato 31 agosto. Dopo una notte all'addiaccio a metà della Via Cassin, i due avevano rifiutato il recupero con l'elicottero, arrivato sul posto. Erano convinti di poter proseguire da soli nella calata. La madre di uno dei due alpinisti, che attendeva la coppia al Rifugio Auronzo, non vedendoli ritornare aveva chiesto di nuovo l'intervento dei soccorsi. Ma, ancora una volta, e nonostante le cattive condizioni meteo, i due spagnoli avevano rifiutato di essere imbarcati sull'elicottero. Il Soccorso alpino aveva continuato comunque a monitorare la cordata, finché con un terzo intervento non era riuscito a far salire gli alpinisti sull'elicottero, nel pomeriggio del 2 settembre. Le norme regionali prevedono che i costi dell'intervento in montagna, per chi è rimasto illeso, e a maggior ragione per chi si è messo volontariamente in una situazione a rischio, siano a carico dell'utente. Da qui il maxi-conto a carico degli spagnoli.

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