Mafia, le mani dei boss sugli appalti pubblici: 2 arresti a Messina

Cronaca
L'indagine dei carabinieri era partita nel febbraio del 2016 (archivio fotogramma)
Fotogramma_carabinieri

I carabinieri di Taormina hanno fermato, con l'accusa di estorsione aggravata, due persone sospettate di aver tentato di imporre la protezione criminale al responsabile di una ditta vincitrice di un bando pubblico

Tentata estorsione con l'aggravante del metodo mafioso. Con questa accusa i carabinieri di Taormina hanno arrestato due persone nell'ambito di un'inchiesta sui rapporti tra mafia e appalti.

Le minacce alla ditta

I due arrestati, residenti a Castiglione di Sicilia e in Germania, sarebbero elementi di spicco del clan "Ragaglia-Sangani", affiliato alla consorteria "Laudani" ed egemone nella frazione nord-orientale dell'area sub-etnea. I militari li hanno fermati al termine di una lunga e complessa attività d'indagine denominata “Porto Franco” che avrebbe permesso di far luce sulle responsabilità degli arrestati in una tentata estorsione ai danni di una società edile di Paternò (Ct). Le investigazioni sono partite da una denuncia sporta nel febbraio del 2016 presso i carabinieri di Malvagna (Me) dal responsabile di cantiere della ditta catanese vincitrice di un appalto pubblico da oltre 600mila euro e relativo al completamento della circonvallazione del centro abitato di Malvagna. L'uomo ha raccontato ai militari di aver trovato nel proprio cantiere una bottiglia di plastica contenente liquido infiammabile. Il contenitore, secondo quanto denunciato dal responsabile, sarebbe stato accompagnato da un accendino e da un biglietto lasciato attaccato alla maniglia di un'escavatrice, su cui era scritta una frase in dialetto siciliano: “Ceccati u amico buono di cussa” (letteralmente “cercati un buon amico di corsa”).

Le indagini sui due uomini

La testimonianza dell'operaio ha portato a immediate indagini da parte dei carabinieri che sono arrivati ai due arrestati dopo aver effettuato controlli su diversi pregiudicati del circondario. I sospetti dei militari sui due uomini sarebbero stati confermati dalle testimonianze di alcune persone che avrebbero notato i due aggirarsi con fare giudicato "sospetto" nei pressi del cantiere che era in fase d'avvio. Un elemento che ha convinto i magistrati ad autorizzare l'uso di intercettazioni telefoniche e ambientali durante le indagini: attività tecniche che avrebbero permesso di accertare inequivocabilmente il coinvolgimento diretto dei due indagati nel tentativo di costringere la vittima ad accettare il pagamento per la "protezione" criminale. Dalle conversazioni registrate si apprenderebbe infatti che i due avrebbero tentato di ottenere un incontro con il responsabile della ditta, sia attraverso minacce verbali che mediante il ricorso all'uso della forza.

La prova calligrafica

Fallito ogni tentativo di incontrare il responsabile del cantiere, i due sarebbero stati portati nel tempo a inasprire i toni delle loro minacce. Da qui sarebbe scaturito, nel tentativo di appesantire la gravità degli atti intimidatori, l'episodio della bottiglietta e del bigliettino lasciato sull'escavatrice. Una mossa che successivamente avrebbe tradito i due indagati. Proprio il manoscritto ha costituito l'ulteriore elemento di prova a carico dei i due uomini portando i militari a chiudere il cerchio sulla loro presunta responsabilità nella tentata estorsione. Gli accertamenti tecnico scientifici svolti dal Reparto Carabinieri Investigazioni Scientifiche di Messina sul manoscritto estorsivo hanno infatti permesso di stabilire con massima precisione che l'autore dello scritto fosse proprio uno dei due arrestati. Relativamente all'aggravante del metodo mafioso, il provvedimento cautelare del giudice ha evidenziato la rilevanza dell'atteggiamento degli indagati che hanno agito in un contesto ambientale "connotato dalla pervasiva presenza di consorterie criminali aduse ad imporre il giogo estorsivo alle imprese aggiudicatarie di rilevanti commesse pubbliche". Dalle indagini è emersa, infine, una consolidata rete di rapporti con esponenti della criminalità organizzata mafiosa locale, in particolare con il clan "Ragaglia-Sangani" di Randazzo (CT).

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