Case a un euro e accoglienza, così i borghi combattono lo spopolamento

Cronaca

Chiara Piotto

I piccoli comuni italiani cercano di attrarre nuovi abitanti per non morire. I paesi con meno di cinquemila abitanti, sono sette su dieci, 5.991 e si stanno svuotando

“Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via” scrisse Cesare Pavese. L’Italia è un Paese di paesi. I piccoli comuni, con meno di cinquemila abitanti, sono sette su dieci, ben 5.991. Occupano il 54% del territorio nazionale e ospitano 11 milioni di persone, più di un italiano su sei. In Valle d’Aosta, ad esempio, sono piccoli tutti i comuni escluso il capoluogo Aosta. Perciò se questi paesi si svuotano e perdono abitanti, il 20% negli ultimi quarant’anni, il fenomeno riguarda tutti: a cambiare sarà la penisola per come la conosciamo, o almeno il modo in cui la abitiamo.

La legge salva-borghi

Per contrastare l’abbandono dei centri storici e stimolare interventi di manutenzione, il 6 ottobre 2017 il governo ha approvato la cosiddetta “legge salva borghi” che prevede un fondo da 100 milioni di euro fino al 2023. Soldi che possono servire a contrastare i danni causati dal dissesto idrogeologico o ad asfaltare le strade di accesso - spesso le uniche - dei tanti borghi arroccati sulle nostre montagne. Ma gli interventi devono fare i conti con due tendenze sociali inesorabili: gli italiani sono sempre più vecchi e sempre meno “rurali”.

Il "controesodo"

Il lavoro è in città, quasi mai in campagna, ancora meno in montagna. Perciò quando un paese non può contare sulla vicinanza a una grande città - e sui prezzi degli affitti competitivi - per sopravvivere deve armarsi di inventiva. “Il controesodo è possibile e un gruppo di piccoli comuni lo dimostra” scrive l’Anci, l’associazione nazionale comuni italiani, nella propria relazione Agenda controesodo. Dal dossier risulta che 581 piccoli comuni sono riusciti a invertire la tendenza demografica e ad aumentare il numero abitanti del 9 per cento, nel periodo tra il 2008 e il 2015.

Il viaggio di Sky TG24 nei piccoli comuni che resistono

Sky TG24 ha deciso di raccontare le storie di alcuni piccoli comuni che, in modo molto diverso tra loro, stanno riuscendo a contrastare l’esodo. Il nostro viaggio è cominciato da Succiso sull’Appennino emiliano, Nulvi nell’entroterra sardo e Chiesanuova in provincia di Torino (VIDEO).

Succiso, una cooperativa per salvare la comunità

Resistere all’abbandono è particolarmente difficile per i comuni montani. Mentre la popolazione italiana negli ultimi 60 anni è cresciuta di circa 12 milioni di persone, la montagna ne ha perse circa 900mila. Succiso, a quasi 1000 metri di altitudine sull’Appennino emiliano, non fa eccezione. Comunità di pastori e contadini, nel dopoguerra il Paese contava circa 2000 residenti. Ma un lento e determinato movimento franoso ha cominciato a minare le fondamenta delle abitazioni, costringendo gli abitanti a trasferirsi in casette temporanee e, successivamente, a Succiso Nuovo, costruito a qualche centinaio di metri di distanza. La mancanza di lavoro ha fatto il resto: nel 1991 ha chiuso l’ultimo bar.

Il "modello Succiso"

È a quel punto che un gruppo di giovani della Proloco locale ha deciso di fondare una cooperativa e avviare la prima esperienza di “cooperativa di comunità” in Italia: i soci ne sono anche dipendenti e si danno il cambio nelle diverse attività avviate, dal ristorante al caseificio, dal minimarket al piccolo hotel. Oggi, quasi trent’anni dopo, la Cooperativa dei Cavalieri ospita 15mila turisti all’anno, sforna 20 chili di pane al giorno, ha 250 pecore e produce 50 quintali di pecorino in 12 mesi. Abbiamo chiesto al presidente, Dario Torri, se ritiene che Succiso sia salvo. È ottimista: il percorso è avviato, gli abitanti residenti tutto l’anno continueranno a essere pochi (circa 65 in inverno) ma il turismo terrà vivo il territorio. Anzi, ci dice, con modalità simili e diverse il “modello Succiso” potrebbe salvare anche altre comunità in Italia e nel mondo.

Il caso di Nulvi, in Sardegna

In Sardegna il fenomeno dell’abbandono morde tutto l’entroterra, tanto che i sociologi parlano di “effetto ciambella” per definire lo svuotamento a favore delle coste, più ricche e piene di turismo. Nulvi, in provincia di Sassari, è fuori dai percorsi turistici canonici. Per secoli è stato il centro principale dell'Anglona, regione storica del nord della Sardegna: c’erano il carcere, la pretura, la scuola superiore di Agraria. Ma dal dopoguerra a oggi ha quasi dimezzato il numero degli abitanti che oggi sono meno di 3000. Il centro, ricco di edifici storici e impreziosito dalla tradizione degli antichi candelieri, è pieno di case vuote, sfitte, sui vetri il cartello “vendesi” impolverato e fisso da anni. Ci voleva un’idea: il sindaco Antonello Cubaiu ha deciso di aderire al progetto “case a un euro” già tentato - senza successo - in altri comuni italiani. Il comune si è incaricato di contattare i proprietari, in molti casi gli eredi, di alcune case abbandonate e li ha convinti a cederle per la cifra simbolica di un euro. Si tratta di strutture più o meno grandi - dai 60 ai 240 metri quadri - tutte in grave stato di abbandono, da ristrutturare con il vincolo di impiegare manodopera e artigiani locali.

Case a un euro a russi e kazaki

Gli annunci sono andati a ruba: per soli cinque immobili disponibili sono arrivate 3000 richieste da tutto il mondo, dalla Russia alla California. In estate saranno finiti i lavori di ristrutturazione della prima casa assegnata a una donna svizzera, una coppia di gemelli kazaki si è aggiudicata un altro immobile, mentre una coppia russa si è impegnata a trasformare l’abitazione più grande in un albergo diffuso. Altre due case, più piccole, saranno rimesse a nuovo da italiani. Ora il sindaco spera di riuscire a mettere a disposizione altre case a un euro. Poche persone da sole non bastano a invertire la curva demografica, ma chissà che la popolarità mediatica internazionale non attiri nuove famiglie che vogliano abitare stabilmente il comune. 

Chiesanuova accoglie i "nuovi italiani"

In Piemonte il piccolo comune di Chiesanuova, in provincia di Torino, è riuscito ad attrarre nuove famiglie stabili, tutte straniere. Con 263 abitanti e 25 immigrati, è il comune con il più alto rapporto residenti/rifugiati il tutto il Nord Italia. Grazie ai nuovi arrivi lo scuolabus ha ricominciato a fermarsi nel paese. Quando le porte si aprono è una Babele linguistica, perché tutti i minorenni parlano almeno un’altra lingua oltre all’italiano: russo, ucraino, farsi.

Con meno di mille abitanti, Chiesanuova rientra nella categoria dei cosiddetti “comuni polvere”, che rischiano di scomparire entro i prossimi vent’anni. Per resistere ha optato per l’accoglienza già nel 2001: i primi anni arrivavano minorenni senza genitori, poi ha scelto di ospitare le famiglie, che più facilmente possono adattarsi a vivere in un borgo distante dalla città e con pochi servizi.

La formula sta funzionando, lo Sprar (il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) locale organizza corsi di lingua italiana e aiuta i richiedenti asilo a trovare un tirocinio formativo che, spesso, si trasforma in un lavoro vero e proprio. Le famiglie così riescono a inserirsi nel tessuto sociale e rimangono nel comune come residenti e cittadini italiani.

Abbiamo chiesto alla coordinatrice dello Sprar Annalisa Fontana se in questi anni ci siano stati attriti tra la popolazione “storica”, composta da anziani italiani, e i nuovi arrivati. “Per adesso no”, ci ha risposto, “forse perché i residenti non erano in competizione con loro, sono tutti pensionati”. D’altra parte se il comune vuole sopravvivere deve accettare il rischio di un futuro che si preannuncia diverso da come gli anziani residenti se l’erano immaginato. 

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