Tratta di giovani nigeriane sfruttate per prostituzione, 7 fermi

Cronaca
Le indagini sono partite nel gennaio 2017 dopo la denuncia di una delle vittime (Foto d'archivio)

L'operazione condotta tra Lamezia, Rosarno e Livorno. I fermati costringevano le ragazze anche con violenze e minacce, per ripagare il debito contratto con il viaggio. LO SPECIALE DI SKY TG 24

Facevano arrivare clandestinamente in Italia decine di giovani ragazze nigeriane e le costringevano a prostituirsi per ripagare il debito contratto con il viaggio. Per questo motivo, sette persone dislocate tra Calabria e Toscana sono state fermate dai Carabinieri del Gruppo di Lamezia Terme. I soggetti - un italiano e sei di origine nigeriana - sono indagati, a vario titolo, per associazione per delinquere finalizzata alla tratta di esseri umani, acquisto e alienazione di schiavi, immigrazione clandestina, riduzione in schiavitù e sfruttamento della prostituzione con l'aggravante della transnazionalità. (IL REPORTAGE DI SKY TG24)

Costrette a prostituirsi per estinguere un debito

Il provvedimento di fermo è stato emesso dalla Dda di Catanzaro. Le indagini, partite nel gennaio 2017 dopo la denuncia di una delle vittime, hanno permesso agli investigatori di individuare un pericoloso e strutturato sodalizio criminale. La donna ha indicato agli investigatori il luogo in cui risiedeva, le abitazioni delle “madame” e le zone dove le giovani erano costrette a prostituirsi. Dopo una serie di pedinamenti e intercettazioni, gli inquirenti sono riusciti a ricostruire il sistema gestito dal sodalizio criminale. Il gruppo operava in diverse località del territorio italiano, ma poteva vantare anche ramificazioni in Nigeria e Libia. I sette fermati - dislocati tra Lamezia, Rosarno e Livorno - sono riusciti a far arrivare clandestinamente in Italia diverse decine di ragazze. L'unico italiano, avrebbe svolto ruolo di fiancheggiatore, una sorta di factotum che accompagnava le ragazze nelle zone dove si prostituivano.

La promessa di un posto di lavoro

I vertici dell'organizzazione reclutavano le giovani donne africane promettendo loro un posto di lavoro in Italia come commesse e parrucchiere. Una volta adescate, le vittime venivano sottoposte a dei rituali di magia nera "vodoo/juju" che servivano a vincolarle al pagamento del debito contratto con le spese per il viaggio, stimato in 30mila euro: per la loro cultura, infatti, il mancato rispetto del giuramento avrebbe portato disonore e gravi conseguenze nei confronti dei propri familiari.

Un viaggio infernale

Dopo essere state reclutate, per le giovani donne iniziava il calvario. Trasportate per un estenuante e pericoloso viaggio attraverso il deserto del Niger venivano trasferite in Libia, dove aspettavano di essere imbarcate per l'Italia. Un'attesa spesso caratterizzata da abusi e violenze. Il gruppo poteva inoltre fare affidamento su un sistema consolidato e ben strutturato, con la presenza di diversi legami in Nigeria e Libia. Quando le donne venivano catturate e trattenute presso i campi di prigionia, l'organizzazione riusciva a liberarle attraverso la mediazione dei cosiddetti "connection men", uomini presenti sul territorio che corrompevano le guardie libiche per cifre vicine ai tremila euro.

Un sistema che si autoalimentava

All'approdo sulle coste italiane le donne trovavano una realtà ben diversa da quella prospettata. Rintracciate nei vari centri di accoglienza, le vittime venivano trasferite in diverse località e costrette alla prostituzione, senza possibilità di ribellione: affidate a delle "madam", erano obbligate a saldare il debito contratto. Queste le istruivano alla prostituzione fornendo loro i preservativi e tutto quanto fosse necessario, dopo averle private dei documenti. Su un quaderno venivano inoltre appuntati i guadagni di ogni singola ragazza e la cifra ancora da versare per saldare il debito. Forzate ad abortire in casa con la somministrazione di farmaci, picchiate e private dell'acqua quando il guadagno giornaliero non era ritenuto sufficiente. Un ciclo che si autoalimentava poiché parte dei guadagni ottenuti dall'attività delle donne veniva reinvestito in una cassa comune messa a disposizione delle madam per l'acquisto di nuove donne. Un sistema che, secondo gli inquirenti, aveva permesso alla banda il controllo di oltre cento ragazze.

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