La Corte europea per i diritti umani ha stabilito che l'Italia, nell'impedire a una donna di donare gli embrioni ottenuti da fecondazione in vitro alla ricerca scientifica, non è andata contro il rispetto della sua vita privata. Il caso riguarda Adelina Parrillo, il cui compagno morì a Nassiriya: "Non ci sono prove che lui fosse d'accordo con la donazione"
La Corte europea per i diritti umani di Strasburgo ha stabilito che l'Italia non ha violato la Convenzione europea sui diritti dell'uomo per non aver permesso la donazione a scopo scientifico di embrioni umani ottenuti attraverso la fecondazione in vitro. L'articolo 13 della legge 40/2004, che vieta la sperimentazione sugli embrioni, non viola quindi il diritto al rispetto della vita privata di una persona.
Il caso - Il caso in questione riguarda una cittadina italiana, Adelina Parrillo, che nel 2002 ricorse alla fecondazione in vitro insieme al suo partner: ottenne cinque embrioni che, però, non sono stati mai impiantati a causa della morte del compagno, il regista Stefano Rolla, a Nassiriya nel novembre 2003. La signora Parrillo rinunciò alla gravidanza, ma decise di donare gli embrioni per la ricerca scientifica, in particolare per la cura di alcune malattie. La legge italiana, tuttavia, vieta esperimenti sugli embrioni umani: la richiesta della signora Parrillo è stata quindi rifiutata, nonostante sia giunta prima che l'attuale legge fosse entrata in vigore nel 2004.
Le motivazioni - La Corte ha riconosciuto all'Italia un ampio margine di manovra su una questione così delicata, su cui non esiste consenso a livello europeo. La preparazione della legge italiana, si legge in una nota che motiva la decisione, "ha generato un dibattito significativo" e le autorità italiane “hanno preso in considerazione l'interesse dello Stato nel proteggere l'embrione e l'interesse degli individui coinvolti". In questo caso, si legge ancora, "il divieto è necessario in una società democratica" in quanto non ci sono prove che il compagno della signora Parrillo fosse d'accordo con la donazione degli embrioni alla scienza. I giudici di Strasburgo, poi, hanno ritenuto che il diritto alla proprietà invocato da Adelina Parrillo “non può applicarsi a questo caso, dato che gli embrioni umani non possono essere ridotti a una proprietà come definita dall'articolo 1 protocollo 1 della Convenzione europea dei diritti umani".
La decisione apre nuovi possibili ricorsi - La Corte, comunque, ha accettato per la prima volta il principio che una decisione sulla sorte di un embrione riguarda la vita privata di una persona, aprendo quindi nuove possibilità di ricorsi nel futuro. La Corte di Strasburgo fa capo al Consiglio d'Europa, un'organizzazione distinta dall'Unione europea e di cui sono membri anche Paesi come Russia, Turchia e Azerbaigian.