Omicidio Garofalo, l'ex compagno: "L'ho uccisa in un raptus"

Cronaca
La foto, tratta da un video diffuso dai carabinieri, mostra le ultime immagini di Lea Garofalo, la collaboratrice di giustizia scomparsa a Milano nell'autunno del 2009

L'uomo, condannato all'ergastolo in primo grado per la morte dell'ex compagna, racconta ai giudici della Corte d'Assise d'Appello cosa sarebbe accadduto nel novembre del 2009. "Mi disse che non mi avrebbe più fatto vedere Denise, non ci ho visto più"

Un delitto di impeto, un "raptus" e non un omicidio premeditato e imposto dalle leggi della 'ndrangheta. Questo è stato l'omicidio di Lea Garofalo, la testimone di giustizia sequestrata e uccisa nel novembre del 2009 a Milano, nel racconto del suo ex marito Carlo Cosco, già condannato all'ergastolo in primo grado e che martedì 16 aprile, durante un'udienza del processo d'appello, ha voluto raccontare la sua versione dei fatti. La figlia, che ha assistito all'udienza sotto protezione in un corridoio a fianco dell'aula, non crede alle parole del Pdre. "Vuole sapere la verità, sapere come è stata uccisa" la madre, ha spiegato a chi le sta vicino. Denise, infatti, non crede all'ipotesi che a scatenare l'omicidio di Lea sia stato un raptus, Il racconto di Cosco, ha aggiunto, "è senza logica".

Cosco: non voleva farmi più vedere nostra figlia - "Non volevo uccidere la madre di mia figlia Denise", ha ripetuto più volte Cosco, che ha ricostruito quanto accadde la sera del 24 novembre 2009 quando, stando al suo racconto, si trovò con Carmine Venturino e Lea Garofalo nell'abitazione di un loro amico, Massimo Floreale. "Volevo fare vedere quella casa a Lea perché poi a Natale volevo fare una sorpresa e portarci mia figlia Denise. Le ho mostrato il bagno e le stanze e, mentre ho detto a Venturino di fare un caffè, non so cosa è successo... Lea mi ha detto delle brutte parole e che non mi avrebbe più fatto vedere Denise e non ci ho visto più". A quel punto, ha aggiunto, "gli ho tirato un paio di pugni e le ho sbattuto la testa per terra". Poi, sempre stando alla versione dell'uomo, avrebbe detto a Carmine Venturino e Rosario Curcio, di "aiutarmi" a far sparire il cadavere. L'uomo ha scagionato nel suo racconto i suoi due fratelli Vito e Giuseppe Cosco. "Io non mi sono consegnato - ha aggiunto Carlo Cosco - per paura di perdere mia figlia, perché se non si trovava il corpo non perdevo mia figlia".

L'uomo nega di far parte della mafia calabrese - Carlo Cosco, condannato all'ergastolo in primo grado per l'omicidio della ex compagna, la testimone di giustizia Lea Garofalo, aveva confessato di aver ucciso la sua ex compagna nelle scorse udienze del processo d'appello. L'uomo continua però a negare di appartenere alla mafia calabrese, come invece aveva sostenuto il pentito Carmine Venturino, uno degli imputati del processo. La prossima udienza è stata fissata per il 15  maggio.

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