Arce, il papà di Serena: “Presto inchioderanno l’assassino"
Cronaca
Era il giugno del 2001 quando il corpo della ragazza fu trovato in un bosco. A Sky.it parla Guglielmo Mollicone. “Ci sono nuove prove schiaccianti, come tracce di Dna e impronte, ma non solo”. E per un altro cold case potrebbe arrivare la svolta
di Valeria Valeriano
“Ogni sera, prima di andare a dormire, spero di svegliarmi il giorno dopo e sentire che hanno arrestato gli assassini di mia figlia”. Ogni sera, da undici anni. Guglielmo Mollicone è il papà di Serena, la ragazza di Arce trovata morta il 3 giugno 2001 nel boschetto di Anitrella, in provincia di Frosinone, sul sentiero che dalla strada porta verso il fiume. Dopo più di un decennio per quell’omicidio non ha ancora pagato nessuno. È un mistero. Uno dei tanti nell’Italia dei delitti irrisolti. Un altro cold case che però, grazie alle nuove tecniche di ricerca che hanno portato alla luce elementi preziosi nel corso dell'incidente probatorio, sembra essere arrivato a una svolta.
“Sembra – si affretta a sottolineare l’avvocato Dario De Santis, legale della famiglia Mollicone –. Siamo di fronte a indagini importanti, ma se siano decisive lo si potrà dire soltanto alla fine”. Meno prudente papà Guglielmo, ex maestro elementare. “Si tratta di prove schiaccianti che inchioderanno chi l’ha uccisa”, dice a Sky.it. E si riferisce ai due profili misti di Dna maschile “utilizzabili per confronti” e all’impronta digitale completa individuati sui vestiti che indossava sua figlia e sul nastro adesivo usato per legarla. Ma non solo. “I Ris stanno valutando delle cose importantissime, ancora più di Dna e impronte”, aggiunge il signor Mollicone. Che in tutto questo tempo non ha mai smesso di cercare la verità.
Voci, indagini sbagliate, depistaggi, lettere anonime: ecco cos’è stato per anni il “giallo di Arce”. Serena ne aveva 18 quando è scomparsa. Stava per diplomarsi con una tesina sulla follia al liceo psicopedagogico e suonava il clarinetto nella banda del suo paese. Fil di ferro e nastro adesivo a tenerle legati polsi e caviglie, una busta di plastica in testa, una ferita profonda sul cranio: è così che è stato ritrovato il suo cadavere. Era una domenica. Da due giorni nessuno aveva sue notizie. Era andata a fare una radiografia ai denti e non era più tornata a casa. “Quella mattina era tranquilla – racconta Guglielmo Mollicone –. È venuta a salutarmi mentre davo da mangiare ai nostri uccelli. È stata l’ultima volta che l’ho vista”.
Dopo un po’ i sospetti si erano concentrati su un carrozziere. Nel 2003 è anche finito in carcere. C’è rimasto per 17 mesi. Da innocente. Perché è stato processato e assolto in tutti i gradi di giudizio. Dal 2011 le piste investigative sono diventate due: una è legata alla gelosia dell’ex fidanzato di Serena e l’altra, sposata con forza anche da Guglielmo Mollicone, porta alla caserma dei carabinieri di Arce. Tra giugno e luglio di quell’anno sei persone sono state iscritte nel registro degli indagati con l’accusa di omicidio volontario e occultamento di cadavere. Tutte si dicono innocenti. Una di loro, il carabiniere Francesco Suprano, si è già sottoposta al test del Dna, che ha dato esito negativo. “Proprio in virtù della divisa che indossa, non volendo ostacolare in alcun modo le indagini, ha deciso di sottoporsi volontariamente agli esami”, commenta l’avvocato Eduardo Rotondi, che difende Suprano e ha pronta per lui la richiesta di archiviazione. Per gli altri cinque indagati si attende il confronto con le tracce trovate dagli esperti per capire se siano o meno coinvolti nell’omicidio. Sono Michele Fioretti, all’epoca fidanzato di Serena, e sua madre, Rosina Partigianoni. “I miei assistiti non hanno nulla da nascondere. Sono stati sempre disponibili alle esigenze degli inquirenti. Siamo sicuri che alla fine la verità emergerà”, dichiara il loro avvocato, Armando Pagliei. Poi c’è la famiglia Mottola: Franco, ex maresciallo dei carabinieri di Arce, sua moglie Anna e loro figlio Marco. “Hanno la coscienza tranquilla, hanno fiducia nella giustizia e dimostreranno di non essere coinvolti in questo truce delitto”, dice l’avvocato Francesco Germani, loro legale.
Ma è proprio contro di loro, contro i Mottola, che Guglielmo Mollicone punta il dito da anni. E ricostruisce così quello che, secondo lui, sarebbe successo l’1 giugno 2001, il giorno della scomparsa di sua figlia: “Serena è entrata in caserma per denunciare il figlio dell’ex maresciallo per spaccio di droga. I carabinieri non hanno accettato la sua denuncia ed è stata mandata su, nell’appartamento dei Mottola, per discutere con chi era in casa. La discussione è degenerata, Serena è stata colpita da uno schiaffo, una spinta, un corpo contundente, non si sa. Ha perso l’equilibrio, è caduta su uno spigolo ed è svenuta. Lì, invece di essere soccorsa, è stata lasciata morire”.
Sospira il papà di Serena. E per un attimo, l’unico, sembra perdere l’autocontrollo con il quale racconta il dramma che sta vivendo la sua famiglia. Si ferma. Giusto il tempo per ritrovare la forza, la calma, le parole. Poi ricomincia a parlare. Con la consapevolezza di chi sa che l’unico modo per andare avanti è tornare indietro di undici anni. Sono tanti i momenti di questa brutta vicenda impressi nella sua mente. Il più doloroso, racconta, è stato nel giorno dei funerali. “Quando a poche ore dalla cerimonia i carabinieri mi hanno prelevato dalla chiesa e portato in caserma”. Davanti agli occhi della figlia maggiore, Consuelo, dei giornalisti, di tutto un paese che ha iniziato a insinuare.
Dopo la morte di Serena, Guglielmo Mollicone ha cambiato casa. “Se fossi rimasto lì – spiega – sarei stato inghiottito dai fantasmi e non avrei potuto portare avanti questa battaglia per la verità”. Una “battaglia” che, sottolinea, non è solo per sua figlia. “Non dimentichiamoci che in questa storia c’è un’altra scomparsa sulla quale bisogna fare chiarezza”. Si tratta della morte, nel 2008, di Santino Tuzzi, il brigadiere dei carabinieri di Arce che aveva raccontato di aver visto la giovane entrare in caserma il giorno in cui era sparita. “Si parla di suicidio, ma questa versione non convince né me né altre persone”, dice Guglielmo Mollicone.
Il paese ciociaro, intanto, non dimentica Serena. L’1 giugno la comunità si è ritrovata nella chiesa del piccolo centro per ricordarla. “Qualcuno voleva anche organizzare una fiaccolata – racconta il signor Guglielmo – ma preferisco rimandare e farla quando si scoprirà, finalmente, cos’è successo undici anni fa”. Una fiaccolata non è l’unica idea che l’uomo ha in mente per quando la verità verrà a galla. “Nel tempo ho scritto diverse poesie per mia figlia – racconta –. Le pubblicherò quando tutto sarà finito e Serena riposerà realmente in pace. Sarà il mio dono finale a lei”.
“Ogni sera, prima di andare a dormire, spero di svegliarmi il giorno dopo e sentire che hanno arrestato gli assassini di mia figlia”. Ogni sera, da undici anni. Guglielmo Mollicone è il papà di Serena, la ragazza di Arce trovata morta il 3 giugno 2001 nel boschetto di Anitrella, in provincia di Frosinone, sul sentiero che dalla strada porta verso il fiume. Dopo più di un decennio per quell’omicidio non ha ancora pagato nessuno. È un mistero. Uno dei tanti nell’Italia dei delitti irrisolti. Un altro cold case che però, grazie alle nuove tecniche di ricerca che hanno portato alla luce elementi preziosi nel corso dell'incidente probatorio, sembra essere arrivato a una svolta.
“Sembra – si affretta a sottolineare l’avvocato Dario De Santis, legale della famiglia Mollicone –. Siamo di fronte a indagini importanti, ma se siano decisive lo si potrà dire soltanto alla fine”. Meno prudente papà Guglielmo, ex maestro elementare. “Si tratta di prove schiaccianti che inchioderanno chi l’ha uccisa”, dice a Sky.it. E si riferisce ai due profili misti di Dna maschile “utilizzabili per confronti” e all’impronta digitale completa individuati sui vestiti che indossava sua figlia e sul nastro adesivo usato per legarla. Ma non solo. “I Ris stanno valutando delle cose importantissime, ancora più di Dna e impronte”, aggiunge il signor Mollicone. Che in tutto questo tempo non ha mai smesso di cercare la verità.
Voci, indagini sbagliate, depistaggi, lettere anonime: ecco cos’è stato per anni il “giallo di Arce”. Serena ne aveva 18 quando è scomparsa. Stava per diplomarsi con una tesina sulla follia al liceo psicopedagogico e suonava il clarinetto nella banda del suo paese. Fil di ferro e nastro adesivo a tenerle legati polsi e caviglie, una busta di plastica in testa, una ferita profonda sul cranio: è così che è stato ritrovato il suo cadavere. Era una domenica. Da due giorni nessuno aveva sue notizie. Era andata a fare una radiografia ai denti e non era più tornata a casa. “Quella mattina era tranquilla – racconta Guglielmo Mollicone –. È venuta a salutarmi mentre davo da mangiare ai nostri uccelli. È stata l’ultima volta che l’ho vista”.
Dopo un po’ i sospetti si erano concentrati su un carrozziere. Nel 2003 è anche finito in carcere. C’è rimasto per 17 mesi. Da innocente. Perché è stato processato e assolto in tutti i gradi di giudizio. Dal 2011 le piste investigative sono diventate due: una è legata alla gelosia dell’ex fidanzato di Serena e l’altra, sposata con forza anche da Guglielmo Mollicone, porta alla caserma dei carabinieri di Arce. Tra giugno e luglio di quell’anno sei persone sono state iscritte nel registro degli indagati con l’accusa di omicidio volontario e occultamento di cadavere. Tutte si dicono innocenti. Una di loro, il carabiniere Francesco Suprano, si è già sottoposta al test del Dna, che ha dato esito negativo. “Proprio in virtù della divisa che indossa, non volendo ostacolare in alcun modo le indagini, ha deciso di sottoporsi volontariamente agli esami”, commenta l’avvocato Eduardo Rotondi, che difende Suprano e ha pronta per lui la richiesta di archiviazione. Per gli altri cinque indagati si attende il confronto con le tracce trovate dagli esperti per capire se siano o meno coinvolti nell’omicidio. Sono Michele Fioretti, all’epoca fidanzato di Serena, e sua madre, Rosina Partigianoni. “I miei assistiti non hanno nulla da nascondere. Sono stati sempre disponibili alle esigenze degli inquirenti. Siamo sicuri che alla fine la verità emergerà”, dichiara il loro avvocato, Armando Pagliei. Poi c’è la famiglia Mottola: Franco, ex maresciallo dei carabinieri di Arce, sua moglie Anna e loro figlio Marco. “Hanno la coscienza tranquilla, hanno fiducia nella giustizia e dimostreranno di non essere coinvolti in questo truce delitto”, dice l’avvocato Francesco Germani, loro legale.
Ma è proprio contro di loro, contro i Mottola, che Guglielmo Mollicone punta il dito da anni. E ricostruisce così quello che, secondo lui, sarebbe successo l’1 giugno 2001, il giorno della scomparsa di sua figlia: “Serena è entrata in caserma per denunciare il figlio dell’ex maresciallo per spaccio di droga. I carabinieri non hanno accettato la sua denuncia ed è stata mandata su, nell’appartamento dei Mottola, per discutere con chi era in casa. La discussione è degenerata, Serena è stata colpita da uno schiaffo, una spinta, un corpo contundente, non si sa. Ha perso l’equilibrio, è caduta su uno spigolo ed è svenuta. Lì, invece di essere soccorsa, è stata lasciata morire”.
Sospira il papà di Serena. E per un attimo, l’unico, sembra perdere l’autocontrollo con il quale racconta il dramma che sta vivendo la sua famiglia. Si ferma. Giusto il tempo per ritrovare la forza, la calma, le parole. Poi ricomincia a parlare. Con la consapevolezza di chi sa che l’unico modo per andare avanti è tornare indietro di undici anni. Sono tanti i momenti di questa brutta vicenda impressi nella sua mente. Il più doloroso, racconta, è stato nel giorno dei funerali. “Quando a poche ore dalla cerimonia i carabinieri mi hanno prelevato dalla chiesa e portato in caserma”. Davanti agli occhi della figlia maggiore, Consuelo, dei giornalisti, di tutto un paese che ha iniziato a insinuare.
Dopo la morte di Serena, Guglielmo Mollicone ha cambiato casa. “Se fossi rimasto lì – spiega – sarei stato inghiottito dai fantasmi e non avrei potuto portare avanti questa battaglia per la verità”. Una “battaglia” che, sottolinea, non è solo per sua figlia. “Non dimentichiamoci che in questa storia c’è un’altra scomparsa sulla quale bisogna fare chiarezza”. Si tratta della morte, nel 2008, di Santino Tuzzi, il brigadiere dei carabinieri di Arce che aveva raccontato di aver visto la giovane entrare in caserma il giorno in cui era sparita. “Si parla di suicidio, ma questa versione non convince né me né altre persone”, dice Guglielmo Mollicone.
Il paese ciociaro, intanto, non dimentica Serena. L’1 giugno la comunità si è ritrovata nella chiesa del piccolo centro per ricordarla. “Qualcuno voleva anche organizzare una fiaccolata – racconta il signor Guglielmo – ma preferisco rimandare e farla quando si scoprirà, finalmente, cos’è successo undici anni fa”. Una fiaccolata non è l’unica idea che l’uomo ha in mente per quando la verità verrà a galla. “Nel tempo ho scritto diverse poesie per mia figlia – racconta –. Le pubblicherò quando tutto sarà finito e Serena riposerà realmente in pace. Sarà il mio dono finale a lei”.