"Si, siamo vivi": sopravvivere (e rinascere) dopo la Shoah

Cronaca

Campo di Mauthausen 5 maggio 1945: dopo 9 mesi di prigionia Gianfranco Maris viene liberato insieme ad altri detenuti dalle truppe alleate. A più di 60 anni di distanza, ha ora deciso di raccontare la sua storia in un libro scritto con Brambilla. ESTRATTO

di Gianfranco Maris con Michele Brambilla

Mi chiamo Gianfranco Maris e sono nato tre volte. La prima quando mi partorì mia madre, nella nostra casa di corso Buenos Aires 65 a Milano. Era il 19 gennaio 1921. La seconda nascita è quella ufficiale: 24 gennaio 1921, il giorno in cui mio padre andò in Comune per «registrarmi».
Ancora oggi sulla carta d’identità c’è scritto: nato a Milano il 24 gennaio 1921. Il mio compleanno lo festeggiamo sempre quel giorno lì. Ma mi considero nato una terza volta il 5 maggio 1945, quando, arrampicato in cima a una scala di una torretta del campo di concentramento di Mauthausen-Gusen, vidi arrivare una camionetta di soldati americani.
Ero giunto in quel campo, dopo un lungo viaggio su un carro bestiame, il 5 agosto dell’anno prima e pensavo che non sarei mai più tornato a casa. Pesavo 38 chili.
Quando vidi quella camionetta, capii che ero nato un’altra volta. In effetti, dal 5 agosto al 5 maggio intercorrono nove mesi esatti: il tempo di un’altra gestazione. Di questa mia terza nascita ricordo tutto, ogni dettaglio.

Da due giorni noi prigionieri non lavoravamo più. Il 3 maggio le ss erano fuggite, dopo avere ucciso, per ultimi, «i portatori di segreti»: quelli che avevano lavorato nelle camere a gas e nei forni crematori, quelli che avevano estratto i denti d’oro ai cadaveri. A custodire il campo erano rimasti i cosiddetti «territoriali»: erano ex vigili del fuoco inviati dalle autorità civili austriache. Questi territoriali si comportavano in maniera correttissima con noi. Avevano smesso di farci lavorare.
Ci distribuivano il cibo, mostravano di rispettarci, di considerarci esseri umani: cosa assolutamente straordinaria, in un posto come quello. Noi capimmo che volevano garantire una sorta di transizione morbida verso la libertà. Per questo non ritenemmo di scappare dopo la fuga delle ss.

Restammo ad aspettare. Non sapevamo bene che cosa, ma sentivamo che sarebbe successo qualcosa che ci avrebbe restituito la vita. Quel «qualcosa» si presentò molto presto.
Nella tarda mattinata del 5 maggio vidi arrivare l’avanguardia delle truppe alleate. Una camionetta con quattro o cinque soldati mandati avanti in perlustrazione. Le nuove guardie aprirono semplicemente il portone.
I soldati americani si guardavano intorno sbarrando gli occhi. Non capivano dove fossero finiti. Un penitenziario? Chi erano quei macilenti prigionieri che vedevano? Pericolosi criminali? Nel campo ci fu un’esplosione di gioia. Ma io quella gioia non riuscii a provarla. Dalla torretta vedevo i miei compagni fare festa e pensavo: sì, siamo salvi. Ma quanti di noi sono morti? Sì, siamo vivi.

Ma che cosa abbiamo pagato? Mi vennero in mente alcuni versi che Ungaretti scrisse sull’Isonzo durante la prima guerra mondiale: «È il mio cuore il paese più straziato». Avevo ventiquattro anni e avevo già visto tutto l’orrore del mondo.
Uscivo da una guerra che aveva fatto cinquanta milioni di morti. Nel campo di concentramento in cui ero stato rinchiuso avevano sterminato più di 100.000 prigionieri politici.
Avevo visto i miei compagni subire e compiere cose che credevo non potessero appartenere al genere umano. Ancora oggi, nel tempo in cui la tradizione orale di queste memorie va spegnendosi con la scomparsa degli ultimi testimoni, la verità storica, frantumata per interessi politici, è più prossima all’oblio che alla conoscenza.
© 2011 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano

Tratto da Gianfranco Maris con Michele Brambilla, Per ogni pidocchio cinque bastonate, Mondadori.

Michele Brambilla fa il giornalista da più di un quarto di secolo. Per diciotto anni ha lavorato al "Corriere della Sera"; poi è stato direttore del quotidiano "La Provincia" di Como, quindi vicedirettore di "Libero" e poi del "Giornale" di Indro Montanelli. Laureato alla Statale di Milano, sposato e padre di quattro figli, è l'autore di L'Eskimo in redazione (1990), Dieci Anni di illusioni (1994), Interrogatorio alle destre (1995), Gente che cerca (2002), Gesù spiegato a mio figlio (2002).

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