Chernobyl, se la salute dei bambini passa anche dall'Italia

Cronaca
Nelle case abbandonate dopo il disastro nucleare si trovano ancora oggetti personali
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Oltre 19 mila minori sono arrivati nel nostro Paese nel 2010 per soggiorni terapeutici. Per la maggior parte provengono dalle zone contaminate dall'incidente nucleare del 1986 e qui hanno trovato una seconda famiglia. E la speranza di crescere sani

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di Giulia Floris

C’è Sasha, oggi 17enne, bielorusso, che nelle vacanze di Natale e in estate, dal 2001, viene ospitato dalla famiglia Aime, di Cagliari, 5 figli... più uno. Oppure Antonia, Nina e Oxana, sorelle bielorusse, che oggi hanno 20, 19 e 14 anni e che, a partire dal 2000, per anni, sono state ospiti della signora Lagna e della sua famiglia ad Asti. Sono i "bambini di Chernobyl", nati, dopo il disastro nucleare del 26 aprile 1986, nelle zone contaminate dall’incidente. Una tragedia di cui ricorrono i 25 anni, proprio quando il pericolo nucleare torna prepotentemente di attualità, per le conseguenze del terremoto che ha colpito la centrale giapponese di Fukushima.

"Bambini di Chernobyl" che hanno trovato una seconda famiglia nel nostro Paese, hanno conosciuto la nostra cultura e imparato la nostra lingua: "Sasha sa leggere e scrivere in italiano, speriamo possa essergli utile" raccontano orgogliosi i coniugi Aime, mentre la signora Lagna per le sue bambine aveva preparato dei cartelloni per tradurre le parole principali, e "come tutti i bambini hanno imparato in frettissima". Bambini che, soprattutto, hanno trovato una chance in più per crescere sani.

I soggiorni a scopo terapeutico nel nostro Paese di bambini bielorussi e ucraini sono cominciati nel 1993 e, secondo un monitoraggio del Censis, fino al 2002, i bambini arrivati in Italia per viaggi di solidarietà (per la maggior parte bieloussi) sono stati in media 40mila. Poi i numeri hanno subito una flessione (sui 30mila bimbi stranieri all’anno), visti anche gli anni trascorsi dal disastro e, nel 2010, secondo i dati forniti dal Comitato minori stranieri del ministero del Welfare (istituito nel 1994 proprio in relazione ai progetti legati a Chernobyl), i bambini arrivati in Italia sono stati 19.280, tra i quali 13.894 bielorussi, e 3.514 ucraini.

L'età dei piccoli va dai 6 ai 17 anni e la fascia anagrafica prevalente è quella dagli 8 ai 12 anni. I pericoli legati alla contaminazione nucleare, infatti, dopo 25 anni ancora non sono passati. "Si tratta - spiega il dottor Massimo Tosti Balducci, specializzato in endocrinologia e medicina nucleare – di rischi legati alla contaminazione dei cibi dal cesio, ancora presente nella terra delle zone colpite dalle radiazioni. A distanza di anni" - continua il medico – "i danni sono più difficilmente evidenziabili, ma sono legati all’aumento del rischio di numerose malattie. Per i dieci anni successivi all’incidente invece i danni per la salute sono stati legati anche alla presenza di iodio radioattivo, che ha causato un significativo incremento dei tumori alla tiroide nei bambini". "I benefici dei soggiorni nel nostro Paese sono molteplici - spiega ancora Balducci, già referente scientifico dei progetti portati avanti in questo ambito da Legambiente – e vanno da un’alimentazione più sana agli accertamenti medici accurati cui vengono sottoposti in Italia per evidenziare patologie. Al termine dei soggiorni nei bambini, poi, si è riscontrata una percentuale di Cesio diminuita del 50% rispetto all'arrivo".

Proprio Legambiente, però, ha scelto negli ultimi anni, una maniera diversa per aiutare i bambini bielorussi. "Nei nostri progetti cercavamo di fare i modo che i bimbi non tornassero sempre dalle stesse famiglie - spiega Lucia Venturi, della segreteria nazionale di Legambiente - che venisse privilegiato chi non era mai partito, ma col passare del tempo questo è diventato sempre più difficile e si sono create, sia nei bambini che nelle famiglie, delle aspettative legate all’adozione. Così, dopo la vicenda più clamorosa dei coniugi di Cogoleto (quando, nel 2006, una bambina bielorussa venne nascosta dai suoi genitori affidatari italiani, ndr) abbiamo deciso di organizzare dei soggiorni in loco, dove i bambini sono comunque alimentati in maniera sana, assistiti, curati". I soggiorni si svolgono nell'ambito del "Progetto Rugiada", che mira a sviluppare una sensibilità circa la salute dei bambini nei loro luoghi d’origine.

Dai bambini di Chernobyl, il pensiero corre inevitabilmente a quelli di Fukushima. Possibile ipotizzare rischi simili, dopo il terremoto che ha colpito la centrale nucleare giapponese? “Per quello che sappiamo – risponde Tosti Balducci – sono due situazioni diverse. La radioattivià a Fukushima è fuoriuscita in quantità minore e soprattutto più diluita nel tempo e dunque nell’atmosfera. Chernobyl è stata come una pentola a pressione esplosa all’improvviso. Ma su quelle che saranno le conseguenze per la salute in Giappone, non si possono fare previsioni".

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