Manager sarda era già uscita dal carcere a fine ottobre
La Cassazione ha disposto l'annullamento senza rinvio con perdita di efficacia della misura cautelare che era stata disposta per Cecilia Marogna, la manager cagliaritana arrestata il 13 ottobre, e poi tornata libera il 30 ottobre con obbligo di firma, nell'indagine vaticana sull'ex cardinale Angelo Becciu.
L'arresto su mandato di cattura delle autorità vaticane era stato convalidato dalla Corte d'appello milanese con misura in carcere. I legali Massimo Dinoia e Fabio Federico hanno fatto ricorso in Cassazione contro la misura, revocata a fine ottobre.
Ricorso accolto. "Dall'inizio non c'era ragione per arrestarla", ha detto l'avvocato Federico.
"E' un esito straordinariamente positivo, è stato accolto ciò che noi sostenevamo dall'inizio, non c'era alcun presupposto per arrestarla".
L'arresto è stato dunque dichiarato illegittimo dalla Suprema Corte, tanto che la decisione potrebbe avere effetti anche sull'obbligo di firma con divieto di espatrio (ha dovuto consegnare il passaporto) poi deciso dalla Corte d'appello milanese a fine ottobre. Obbligo di firma che potrebbe decadere.
Intanto, è fissata per il 18 gennaio l'udienza davanti alla Corte d'Appello chiamata a decidere se estradare o meno Marogna.
Nell'ordinanza con cui l'avevano scarcerata i giudici (Matacchioni-Arnaldi-Siccardi) avevano spiegato che la sua consegna dall'Italia al Vaticano non è per nulla scontata, anche perché i legali hanno sollevato una questione centrale. I difensori hanno sostenuto che Marogna, accusata dalla magistratura d'Oltretevere di peculato e appropriazione indebita aggravata, non poteva essere arrestata "dato che l'accordo tra Italia e Vaticano", basato sui Patti Lateranensi, "consente l'estradizione dal Vaticano all'Italia", ma non viceversa.
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