Bimbo segregato, Pm "12 anni a genitori"

Sardegna

Liberato scorsa estate nella villetta di famiglia in C.Smeralda

di Gian Mario Sias

Dodici anni di carcere per avere tenuto segregato in una villetta della Costa Smeralda, e sistematicamente maltrattato, il loro figlio e nipote di 11 anni. È la richiesta di condanna che i pm della Procura di Tempio Pausania, Luciano Tarditi e Laura Bassani, hanno formulato al giudice nei confronti dei genitori e della zia del bambino di Arzachena liberato dai carabinieri di Olbia il 29 giugno 2019, dopo che lo stesso aveva chiesto aiuto ai militari per telefono. Gli imputati, che hanno ammesso le proprie responsabilità davanti agli inquirenti, vengono giudicati con rito abbreviato, dopo che il giudice ha rifiutato la richiesta di patteggiamento avanzata dai legali dei tre, gli avvocati Marzio Altana, Alberto Sechi e Angelo Merlini. La sentenza è attesa per il 21 giugno - il 15 la parola è alla difesa - e scriverà la parola fine su una vicenda che ha sconvolto l'intera comunità gallurese. L'inchiesta parte la notte del 29 giugno dello scorso anno: i carabinieri di Olbia ricevono una telefonata con una richiesta di aiuto. All'altro capo del filo c'è un bambino. Dice di essere rinchiuso in casa, da solo, nella sua stanza, al buio. Senza acqua nè cibo. Chiede di essere liberato.

I militari del Reparto territoriale riescono a rintracciare l'abitazione da cui era partita la chiamata. È una villetta nelle campagne di Arzachena. Il bambino aveva parlato da un cellulare, che era riuscito a nascondere ai genitori. La casa è isolata e buia. All'interno l'undicenne è solo, chiuso a chiave dall'esterno nella sua cameretta. Vengono rintracciati i genitori, che arrivano sul posto poco dopo, e la verità su cui si imbattono i carabinieri è sconcertante, avallata poi dalle indagini che si susseguiranno nei mesi successivi e dalle ammissioni degli stessi genitori e, in seconda battuta, della zia. Il bambino era sottoposto a torture fisiche e psicologiche, descritte dettagliatamente nel diario segreto che il piccolo nascondeva in camera. Le punizioni sistematiche che gli imputati gli infliggevano per correggere comportamenti ritenuti troppo aggressivi, da 'ribelle', consistevano nella sua segregazione, rinchiuso nella sua stanza per ore, al buio, senza cibo nè acqua, senza il materasso e con un secchio per fare i bisogni.

Il piccolo veniva anche picchiato e durante la segregazione gli venivano fatte ascoltare delle voci preregistrate per spaventarlo, con l'intento di renderlo buono e obbediente. I genitori vengono subito arrestati. Dopo qualche mese finisce in manette anche una zia, cognata del papà del bambino. Per sua stessa ammissione, è lei l'ispiratrice dei metodi "correttivi" con cui viene torturato l'undicenne. I tre, tutti attualmente agli arresti domiciliari, aspettano la sentenza del tribunale di Tempio. Verdetto che dopo le richieste dei pm, non si annuncia leggero.

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