Orune, tradizione delle botteghe tessili

Sardegna
@ANSA

Dopo 32 tappe chiude l'edizione 2019 di Autunno in Barbagia

di Maria Giovanna Fossati

In Barbagia era l'abito del pastore, rigorosamente in velluto, liscio o rigato, compagno da tempo immemore nel lavoro delle campagne, nelle giornate di festa e nella vita di tutti i giorni. Un abito che oggi è diventato un marchio del Sardinia style: lo indossa l'avvocato, il medico, l'ingegnere e il turista e va di moda per i matrimoni. E quando la crisi ha piegato le botteghe dei capi artigianali in Sardegna, i fratelli di Orune Luigi e Bachisio Porcu, di 51 e 38 anni, hanno resistito e continuato a vestire centinaia di uomini all'anno e non solo sardi, forti dell'eredità tramandata del padre Giovanni, oggi 91enne, noto "Papassedda".

Oggi questo nomignolo è diventato un marchio che firma tutti i capi. La bottega dalle larghe vetrate in corso Repubblica attira migliaia di visitatori giunti a Orune nel fine settimana per Autunno in Barbagia, la manifestazione identitaria per eccellenza del centro Sardegna, promossa da Camera di Commercio di Nuoro e Aspen e che, dopo 15 weekend e 32 tappe in altrettanti paesi barbaricini, ha chiuso l'edizione 2019. Nella bottega dei fratelli Papassedda si lavora come se il tempo si fosse fermato: niente social, niente sfilate di moda nonostante gli inviti, gli ordini arrivano con il passaparola e per vedere realizzato un abito si aspetta da una a due settimane: "I nostri clienti sono in tutta la Sardegna ma molti provengono dal continente e dell'estero: arrivano dalla Germania, dall'Austria, dalla Svizzera e dalla Francia, alcuni di loro ogni volta che vengono in vacanza si comprano un abito nuovo".

E mentre Giovanni Porcu, a 91 anni si gode la meritata pensione, la bottega di Luigi e Bachisio continua a essere un crocevia della sartoria sarda. "Lavoro in bottega da 35 anni - racconta il figlio maggiore - Ho avuto la fortuna di apprendere il mestiere da mio padre e da Mario Deiana, unendo queste due diverse scuole di taglio ho appreso tutto e mi ci sono appassionato. Realizziamo la giacca orunese con la martingala e il carré a due o tre punte, i pantaloni con il risvolto come si usa in paese, tanti anche i gilet e ci capita di cucire qualche tailleur da donna. Abbiamo cercato di tenerci sul solco di nostro padre e di non stravolgere le usanze, al massimo qualche piccolo apporto se serve a migliorare, ma sempre lavorando il velluto del Duca Visconti, che serve la nostra sartoria da una vita".

La bottega artigiana Papassedda non è l'unico laboratorio storico a Orune, l'altra attrazione per Cortes Apertas è la bottega di Dina Monni, 50 anni, che, sulla scia dell'insegnamento della zia, produce "sa burra", il tappeto tipico orunese confezionato con la lana di pecora, un tempo usato come coperta nelle fredde notti d'inverno. "Lavoro da sempre con due telai verticali - spiega Dina - e a Orune sono rimasta solo io e un'80enne che non lavora più. Realizzo i tappeti con la lana che compro già pronta alla filanda di Nule e inizio a tessere "sa burra puddichittada", il nostro disegno tradizionale: una lavorazione liscia con dei rombi colorati che altro non sono che, un gioco di dita. Per colorare i nostri tappeti si usano i colori della terra: il giallo, il bordeaux, il marrone e a volte anche il blu. E' un lavoro molto lento, procedo con il telaio che lavora un solo filo per volta, per questo i ragazzi non vogliono imparare. Per me è un dispiacere perdere queste ricchezze della nostra terra, che io sono orgogliosa di esporre a Cortes Apertas".

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