Per la Corte 'manca la prova della forza intimidatoria del sodalizio'
"I collegamenti ed i rapporti" di Femia "con esponenti di organizzazioni mafiose non sono determinanti per dare la medesima qualificazione al gruppo da lui costituito che, una volta sorto ed in piena operatività, deve acquisire autonoma vitalità, non mutuabile dal carisma soggettivo del capo e tantomeno dalle relazioni personali di quest'ultimo". Così i giudici della Corte d'Appello di Bologna motivano la loro decisione del 29 ottobre, di far cadere l'accusa di associazione mafiosa nel processo 'Black Monkey'.
Secondo la Corte, infatti, il gruppo guidato da Nicola Femia, che faceva profitti con le slot, non era legato alla 'Ndrangheta, ma si configurava una associazione 'semplice'. E questo ha comportato una riduzione delle condanne e alcune assoluzioni per i 23 imputati. "Manca - scrivono ancora i giudici - la prova di un esercizio concreto e percepito fra i cittadini della forza di intimidazione, che deve derivare direttamente dal sodalizio e non dal singolo Femia Nicola".