Muscle, al Bif la mascolinità tossica

Puglia

Il regista Johnson, 'muscoli spesso scudo per insicurezze'

(di Isabella Maselli) (ANSA) - BARI, 25 AGO - Un thriller psicologico, a tratti divertente, sul culturismo e sulla "mascolinità tossica", sui muscoli che come uno scudo dal mondo esterno nascondono fragilità e insicurezze. E' Muscle, il film di Gerard Johnson in concorso per la sezione Panorama internazionale al Bif&st, il Bari international film festival.
    Proiettato ieri sera al teatro Piccinni, il film racconta in bianco e nero la storia di Simon Barrett, interpretato da Cavan Clerkin, che in un momento di insoddisfazione, stanco della sua vita e del suo corpo grassoccio, stufo del suo lavoro senza prospettive in un call center e del rapporto in crisi con la compagna, Sarah, interpretata da Polly Maberly, decidere di andare in palestra. Qui attira l'attenzione di Terry (Craig Fairbrass), l'intimidatorio allenatore che si offrirà di seguirlo e gli sconvolgerà la vita, fino a diventare il suo capo, amico e coinquilino. Simon inizia a rimettersi in forma e la sua vita migliora a tal punto da farlo diventare il miglior venditore al lavoro, ma l'uso di steroidi lo trasformerà in un mostro furioso fino a fargli perdere lavoro e ragazza.
    "Lavoravo da tempo sull'idea di fare un film sul culto e sulla cultura della palestra, poco raccontato dal cinema" dice il regista, spiegando che "non sempre ma molto spesso chi fa palestra ha insicurezze che tende a coprire con i muscoli, come si fa con i tatuaggi. Così accade che le persone che costruiscono questo scudo dal mondo esterno, hanno avuto traumi o sono semplicemente insicure e la loro è una richiesta di sicurezza, di protezione". Ed è per questo che "c'è anche tanta positività" nel messaggio di film, perché "la palestra può aiutare in momenti particolarmente bui della vita. Il cambiamento che vedi nel tuo corpo ti fa sentire meglio e poi - aggiunge Johnson - la palestra diventa un surrogato del pub, un luogo di ritrovo e di confidenze, dove gli uomini conducono un proprio personale percorso per incanalare rabbia e frustrazioni".
    Ma è anche un film sulla "mancanza di comunicazione" per usare le parole dell'attrice Polly Maberly, che fornisce una chiave di lettura da una prospettiva diversa, quella della donna infelice, spinta al limite della propria frustrazione, che chiede aiuto al suo uomo, Simone, il quale però cerca e trova la salvezza altrove, lontano da lei e "questo finirà per allontanarli definitivamente. Si dice sempre - sottolinea l'attrice - che il limite degli uomini sia di non riuscire a condividere emozioni e sentimenti. Nella relazione tra i due personaggi del film, questo si vede". (ANSA).
   

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