"Our Oceans, Our Future": oggi è la Giornata mondiale degli oceani

Ambiente

Valeria Valeriano

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"I nostri oceani, il nostro futuro" è lo slogan del giorno dedicato ai mari e alla loro salute. Anche nel 2017 l'Onu focalizza l'attenzione su un tema: inquinamento da plastica e spazzatura marina. Diversi gli eventi nel mondo. Anche Sky aderisce con #UnMareDaSalvare

“Our Oceans, Our Future”. “I nostri oceani, il nostro futuro”. È questo lo slogan scelto per la Giornata mondiale degli oceani del 2017. Una giornata che ha l’obiettivo di sensibilizzare e attirare l’attenzione sulla salute dei nostri mari, sull’importanza che hanno per la vita sulla Terra e sui modi in cui possiamo proteggerli. Aderisce anche Sky, che già da qualche mese ha lanciato la campagna #UnMareDaSalvare.

Gli oceani sono essenziali per la vita

Il World Oceans Day si celebra ogni anno l’8 giugno. Il primo Paese a proporre una giornata dedicata agli oceani è stato il Canada nel 1992, al Summit della Terra di Rio de Janeiro. Diverse organizzazioni, in tutto il mondo, hanno raccolto l’invito per anni. Poi, nel dicembre del 2008, l’Onu ha istituito ufficialmente la Giornata mondiale degli oceani e fissato la data. Da allora, in molti Paesi, l’8 giugno si organizzano iniziative in scuole, musei, acquari, centri oceanografici, piazze, università. Dai convegni ai seminari, dalle mostre ai festival, dalla pulizia delle spiagge ai concorsi fotografici: tutti eventi per ribadire l’importanza degli oceani, e della loro salute, non solo per il benessere delle specie che li abitano ma anche per il nostro. Come ricordano le Nazioni Unite, infatti, gli oceani sono essenziali per la vita sulla Terra: regolano il clima, producono ossigeno, assorbono circa il 30 per cento dell’anidride carbonica prodotta dall’uomo, forniscono risorse naturali e alimenti. Coprono i tre quarti della superficie terrestre, contengono il 97 per cento dell’acqua sul pianeta, ospitano milioni di specie (molte non ancora identificate). Sono una risorsa non solo ambientale, ma anche economica: danno sostentamento a oltre 3 miliardi di persone, risorse e industrie marine e costiere generano circa 3mila miliardi di dollari all’anno (il 5% del Pil mondiale), la pesca dà lavoro (direttamente o indirettamente) a più di 200 milioni di persone.

World Oceans Day contro la plastica

A minacciare la salute degli oceani, come spiegano anche Greenpeace e Wwf, sono diversi fattori: dal riscaldamento globale allo sfruttamento non sostenibile delle risorse ittiche, dal traffico navale alle perforazioni off-shore. Ma anche quest’anno, come già in passato, l’Onu ha deciso di dedicare il World Oceans Day soprattutto a un tema: l’inquinamento da plastica e la spazzatura marina. Il motivo è tanto semplice quanto allarmante: i nostri oceani, gli animali che ci vivono e le nostre coste sono sempre più soffocati dai rifiuti e la stragrande maggioranza di questi rifiuti è plastica. Secondo un dossier presentato a Davos nel 2016, nei mari di tutto il mondo oggi ci sarebbero oltre 150 milioni di tonnellate di materie plastiche. Le tonnellate che finiscono in acqua ogni anno, stimano gli esperti, sarebbero almeno 8 milioni. È come se, ogni minuto per 365 giorni, un camion della spazzatura riversasse tutto il suo contenuto nei nostri mari. Se non ci sarà un cambio di rotta, con una diminuzione della produzione di plastica e una maggiore attenzione allo smaltimento, nel 2050 i camion al minuto potrebbero diventare quattro. Per quella data, in termini di peso, gli oceani potrebbero contenere più bottigliette che pesci.

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Plastica e microplastica

Le bottigliette, appunto, sono tra i rifiuti grossi più diffusi negli oceani e sulle coste. Insieme a buste, tappi, coperchi, palloni, imballaggi per il cibo, contenitori, teli, accendini, involucri dei pacchetti di sigarette. Il problema, però, non riguarda solo la spazzatura di grandi dimensioni (che spesso forma delle vere e proprie isole in mezzo all’acqua), ma anche quella che non riusciamo a vedere. La maggior parte della plastica che soffoca gli oceani, oltre il 90 per cento, si trova infatti in forma di microplastica: frammenti di meno di 5 millimetri che abbondano nei cosmetici e nei prodotti per l’igiene personale, ma che possono anche essere il risultato del deterioramento di rifiuti più grossi. Secondo una stima di Greenpeace, nei mari di tutto il pianeta se ne trovano dai 5mila ai 50mila miliardi. Non li vediamo a occhio nudo, ma gli scienziati ne hanno trovato traccia negli angoli più sperduti del Pianeta. Queste particelle sono finite inglobate nelle rocce, nei ghiacciai, nei fondali marini, nello stomaco di vari animali. Anche il Mediterraneo ne è infestato: anzi, il Mare Nostrum è considerato da diversi esperti come una delle zone più critiche. La concentrazione delle microplastiche a largo delle nostre coste, infatti, in alcuni punti risulta persino maggiore di quella del Pacifico (che ospita la Great Pacific garbage patch). A farne le spese, ovunque, sono gli esseri viventi. Se l’immondizia danneggia la flora e provoca il soffocamento e la menomazione degli animali marini, le particelle vengono spesso ingerite da organismi che poi finiscono nei nostri piatti. Con effetti che, anche se gli studi in merito sono ancora agli inizi, sembrano dannosi anche per l’uomo.

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La conferenza dell’Onu per il “Goal 14”

Prendersi cura degli oceani, quindi, vuol dire prendersi cura anche di se stessi e del futuro della Terra. Per ribadirlo, quest’anno si svolge a New York fino al 9 giugno “The Ocean Conference”, una conferenza dell’Onu alla quale partecipano molti Paesi. Lo scopo dell’incontro è definire azioni concrete che governi, Ong, cittadini, comunità scientifica e aziende si impegnino a realizzare per centrare il “Goal 14”: uno dei punti nell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo Sviluppo sostenibile. Il “Goal 14” riguarda proprio oceani, mari e risorse marine. Tra gli obiettivi c’è la riduzione di ogni tipo d’inquinamento, la protezione degli ecosistemi marini e costieri, la lotta all’acidificazione degli oceani, una pesca più sostenibile, incentivi alla crescita degli Stati in via di sviluppo che si affacciano sul mare, la promozione della ricerca scientifica e della tecnologia per studiare gli oceani.

In attesa dei governi, cosa possiamo fare noi

Tra gli obiettivi delle Nazioni Unite c’è anche quello di eliminare entro il 2022 le principali fonti d’inquinamento marino, dalle microplastiche in ambito cosmetico all’eccessivo uso di oggetti di plastica usa e getta. Per farlo serve la collaborazione di tutti: governi, aziende e cittadini. Le strade sono due: da una parte bisognerebbe diminuire il consumo (e quindi la produzione) di plastica, dall’altra c’è la necessità di riutilizzarla o smaltirla nel modo corretto. Ogni anno, nel mondo, vengono prodotti circa 300 milioni di tonnellate di plastica. La prima produttrice è la Cina, seguita dall’Europa. La maggior parte della plastica usata nel nostro Continente, circa il 40 per cento, la troviamo nel packaging (scatole e involucri). Soprattutto imballaggi di cibi, bevande e vestiti. Di questi, però, meno del 15 per cento viene riciclato e la percentuale si abbassa drasticamente se consideriamo la plastica in generale (si parla del 5%). Quasi un terzo degli oggetti prodotti a livello globale, in pratica, viene abbandonato nell’ambiente. Ma la plastica non dovrebbe finire neppure nelle discariche: la parte che non viene riciclata dovrebbe essere usata per ricavare energia. In attesa che i governi adottino provvedimenti che abbattano gli sprechi di plastica e migliorino il sistema di riuso e riciclo, quello che possiamo fare per aiutare gli oceani (e noi stessi) è prendere decisioni responsabili. Come usare meno plastica, riutilizzarla, smaltirla nel modo corretto. Per 365 giorni all’anno. Non solo l’8 giugno.

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