Sandro Lorenzini, la 'lucida follia' del ceramista

TV Show

Veronica Rafaniello

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Sandro Lorenzini nasce scenografo, ma poi trova nella ceramica la compagna di una vita. L’argilla gli permette di realizzare il suo teatro fuori dal teatro, sostituendosi con la sua duttilità alla carne dei corpi e dei volti degli attori. Aspettando Ceramicando, il talent dedicato ai ceramisti inglesi in onda ogni venerdì alle ore 21.15 su Sky Uno abbiamo intervistato un artista sui generis, che ha portato l'arte ceramica italiana in giro per il mondo

Attori di argilla che riempiono grandi spazi, recitando una parte, impersonando eroi, miti e leggende e dando vita a un 'teatro fuori dal teatro', questo è il mondo di Sandro Lorenzini, scenografo, ceramista, ma soprattutto cantastorie. Lo abbiamo intervistato, in occasione della messa in onda di Ceramicando, il talent degli artigiani in onda ogni venerdì alle ore 21.15 su Sky Uno.

 

 

 

 

 

 

 

Com’è nata la sua passione per la ceramica?
In realtà la passione della mia infanzia, cresciuta nel tempo, è stata quella del raccontare storie e lo facevo disegnando, dipingendo e costruendo teatrini con burattini d’argilla. Proprio per questo mi sono appassionato al teatro, specializzandomi in scenografia all’Accademia di Belle Arti di Brera. Dopo aver lavorato sui palcoscenici della Scala e del Piccolo Teatro di Milano ho dovuto lasciare il capoluogo lombardo per la Liguria e reinventarmi. Ascoltando il richiamo lontano dei burattini di argilla della mia infanzia, ho capito che sarebbe stata proprio l'argilla il materiale che mi avrebbe permesso di fare il mio teatro fuori dal teatro. Così ho iniziato a studiare ceramica, fino ad allestire il mio primo laboratorio ad Albisola, ‘il paese dei vasi’, diventando a tutti gli effetti un ceramista, o meglio, uno scultore della ceramica, con in testa un meraviglioso progetto.


Dove trae ispirazione?
Dalle fonti più diverse, dalla fantasia alla Storia, dalla leggenda al mito. Fortezze, castelli storici, foreste, regge, piazze, spazi ipogei, mura antiche sono i miei palcoscenici. I personaggi che li abitavano, col tempo hanno mutato le loro voci da quelle popolane a quelle arcaiche, i loro modi da quelli espressivamente connotati a quelli più ermetici, i loro volti da quelli di eroi mitici a quelli arcani di entità aliene.

 

Cosa vuole raccontare e trasmettere con le sue opere?
Nel mio lavoro mi accompagna una ‘lucida follia’. Creatività e metodo si uniscono per dar vita ai miei progetti e portare a termine il mio scopo: far sì che ogni lavoro si accosti al fruitore catturandone l'attenzione, narrandogli una storia apparentemente riconoscibile, ma che in realtà lo spinge ad addentrarsi nei meandri misteriosi e magici che stanno sotto la superficie delle cose.


Ha un’opera preferita?

I padri non dovrebbero avere dei figli prediletti e per gli artisti dovrebbe valere lo stesso. Ci sono diverse opere che ritengo speciali, di epoche e dimensioni diverse, che riconosco come lavori ben riusciti, ma forse quella che più significa per me è la grande scultura ‘L’altro-Lo stesso’, del Museo Internazionale della Ceramica di Mino, in Giappone. Il motivo è legato alla sua storia.
Il pezzo doveva rappresentare la potenza della terra e il furore del fuoco. L'opera che avevo in animo di fare mi era stata richiesta per una manifestazione internazionale di alto livello, a cui non volevo rinunciare. Ma avevo veramente poco tempo: tredici giorni. Decisi di provare comunque. Iniziai con furore, partii da un piccolo schizzo su un foglietto e poi, senza ripensamenti, lavorai giorno e notte, con la tecnica dei colombini. Il nono giorno il lavoro era ultimato, ma non avevo ancora capito da dove quell’ispirazione fosse arrivata. Dormendoci su, capii tutto: ogni attributo, ogni carattere, ogni aspetto della mia creatura poteva ritrovarsi nei versi della poesia ‘Egli’, di Jorge Luis Borges, dal libro ‘L'altro, lo stesso’, poesia che avevo letto una sera di tre anni prima, apparentemente dimenticata e riaffiorata dalle profondità del subconscio nel momento della necessità. Il decimo giorno incisi il testo della poesia ritrovata sulla fascia lignea che fa da cintura all'opera.

 

 

 

 

 

L'altro-Lo stesso

 

 

 

 

Nelle sue opere sono ricorrenti immagini umanoidi. Perché preferisce concentrarsi su questi soggetti?
È vero, molto spesso i miei soggetti sono figure il cui aspetto è solo vagamente umano, ma non è quasi mai quello di un uomo inteso come soggetto storico, interprete di una normale esistenza. Fin dalle prime grandi mostre site-specific mi trovai a dialogare con figure che, in procinto di prepararsi ad abitare spazi storici e/o architettonici monumentali o comunque molto significativi, densi di memorie e suggestioni lontane, sembravano pretendere da me una sorta di legittimazione che desse loro peso concettuale e autorevolezza. Fu così che sui miei palcoscenici entrarono in scena Ulisse e il suo alter ego Nessuno, la Sibilla e Adamo, sfingi, angeli, signori della bellezza e del furore, Caino e Dafne, Morgana e Flora, tutti comunque (da bravi attori) pronti a vestire i costumi cosmici del sole e della luna, del fuoco e della pioggia, del vento e delle stelle, e a recitare misteri fra simboli e metafore.

 

Nella sua lunga carriera ha esposto le sue opere in giro per il mondo. Dove ha trovato maggior apprezzamento?

Credo che sia stata la condizione anomala di uno scultore che fa teatro per scelta, o di un uomo di teatro che fa il ceramista per necessità, ad attirare l'attenzione degli osservatori attenti. Il mio lavoro ha suscitato l’interesse dell’Università di Berkeley, che nei primi anni ottanta dava vita nell'area della Baia di San Francisco ad una formidabile, continua kermesse che gravitava attorno (ma non solo) al genio di Peter Voulkos. Sicuramente il portare in quell'ambiente un linguaggio narrativo mediterraneo (o meglio "tuscan" come fu detto) mi è valso l'apprezzamento degli ambienti accademici e ha aperto la strada alle docenze presso la U.C. Berkeley e la San Jose State University.
L'aver partecipato in quegli anni a molti concorsi internazionali ha fatto sì che il mio lavoro suscitasse l'interesse del Giappone, dove sono stato invitato a docenze e residenze presso i siti più prestigiosi, mentre i maggiori musei acquistavano le opere più significative.
Quindi penso di potere dire che è certamente l'esperienza giapponese quella che, ancora in anni recenti, mi ha riservato i maggiori riconoscimenti, culminati con la visita e l'incontro con l'Imperatore e l'Imperatrice del Giappone durante una mia residenza a Shigaraki.



Sta lavorando a qualche nuovo progetto?
Al momento ho diversi progetti in corso, ma sono di volta in volta le contingenze a privilegiarne uno piuttosto che un altro. Ci saranno a breve e medio termine delle grandi figure, ma vorrei, per il mio piacere, dedicarmi a una stagione ceramica, concentrandomi sul piccolo e medio formato, così da ritrovarmi con il piacere della leggerezza, della raffinatezza, della poesia, della geometria.

 

Che cosa direbbe a un giovane artista che si approccia all’arte della ceramica?
Poche cose, concise e semplici, di quelle che, però, non invecchiano.
La ceramica è un'amante capricciosa, gelosa, possessiva, ma sa essere generosa come nessun'altra. Vuole essere capita, rispettata, creduta e ti lascia libero di fare di lei ciò che vuoi. Lei ci sarà, più di quanto pensi. Nutrila di fatica, sii sincero con lei, lavora con verità.

 

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