Gomorra 3, episodio 3: Ciro Di Marzio, discesa agli inferi e ritorno

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Veronica Rafaniello

Ciro Di Marzio, l’Immortale, l’uomo che è salito in cima e da lì è precipitato sporcandosi le mani del suo stesso sangue, è l’indiscusso protagonista dalla terza puntata di Gomorra 3. Finalmente scopriamo dov’è andato dopo la Grazia di Genny e soprattutto cosa sta facendo, ora che ha perso tutto, compresa la propria identità. Continua a leggere e scopri di più

Il terzo episodio di Gomorra 3 ci porta lì dove tutti non vedevamo l’ora di andare, in Bulgaria, sulle tracce di Ciro Di Marzio. Siamo a Sofia, l’Immortale è palesemente invecchiato, non solo nel corpo ma soprattutto nell’animo. Dopo essere salito in cima alla gerarchia del potere a Napoli, qui è tornato a prendere ordini da qualcuno più arrogante, spietato e stupido di lui, un certo Mladen. Scopriamo che il personaggio di Marco D’Amore, tra i diversi servizi resi a questo furfante bulgaro, si occupa di trasportare oltre il confine droga e migranti, nascosti in un camion. Proprio alla consegna della merce accade qualcosa che forse potrebbe essere indice di un cambiamento nel personaggio: Mladen gli ordina di ricattare ulteriormente i poveri cristi nascosti sotto l’autovettura, per ottenere più denaro. “Non li hanno” risponde Ciro in lingua locale, e li libera, con fare indifferente, scatenando le ire del boss est europeo.

Un gesto di bontà? Di ribellione? O forse nessuno dei due, solo un atto dettato dall’istinto inconsapevole di fare la cosa giusta. Non possiamo saperlo, perché da quegli occhi profondi non traspare nulla, i tuoi gesti sono lenti e misurati, come se trattenesse con forza, nel profondo, il suo vero io.

 

Chi è adesso Ciro Di Marzio? Difficile dirlo e, come noi, non lo capiscono neanche i suoi nuovi capi: Mladen ne è infastidito, Valentin, il padre di Mladen, è invece curioso, e non sa se fidarsi di questo ragazzo senza passato: “Gli uomini che non hanno passione mi fanno paura. A te sembra che non ti piaccia niente” gli dice e l’Immortale risponde tranquillo “Quello che mi piace non esiste più, Valentin. Ma con te sto bene, faccio quello che mi dici e non ho più tempo per pensare”.


Ecco cosa ha cercato Ciro in questa 'Scampia d’Europa', qualcosa che tenesse a freno i pensieri e un muro da frapporre tra sé e la vecchia vita, non a caso ci tiene a specificare “Non lavoro con i napoletani”.


Tra trasporto di droga, immigrazione clandestina e gestione della prostituzione, Ciro è tornato a fare bassa manovalanza, è in fondo alla scala del potere e non sembra interessato a risalirla. In tutta la puntata, però, ci sembra di avvertire un accenno di umanità (?) nel personaggio, da quando libera i migranti a quando posa gli occhi su una giovanissima ragazza albanese, finita chissà come vittima di tratta. Ha i capelli lunghi, la felpa col cappuccio e lo sguardo torvo…è una bambina, e sia a noi che a lui ricorda in qualche modo Maria Rita. I loro sguardi s’incroceranno spesso, nel corso della puntata, entrambi bravissimi a non lasciar sfuggire nulla, entrambi costretti a tenersi tutto dentro. È sopravvivenza. Qualsiasi cosa senti…seppelliscila tre metri più giù.


Gli scenari che vediamo in questa puntata non si discostano molto da quelli ai quali siamo abituati tra Scampia e Secondigliano: case popolari vecchie e dalle pareti scrostate, paesaggi brulli che sembrano usciti da un futuro post-apocalittico e che si scontrano con l’arredo nelle case di chi comanda e lo stile tutt’altro che sobrio del night club. In questa grande periferia, quello che un tempo dominava la scena a Napoli Nord vive ora da reietto, in un palazzo fatiscente, con solo l’essenziale a fargli compagnia: una birra, la tv spenta, la finestra che affaccia sui fumi di una fabbrica. È un ergastolo autoimposto, un modo di espiare colpe che nessuno, se non lui stesso, potrà mai perdonargli.


L’esistenza tranquilla e lontana dalla musicalità della parlata napoletana, però, viene compromesso dall’arrivo di una delegazione di compaesani, amici di Mladen, con i quali Ciro è praticamente costretto ad interagire, secondo i piani del suo superiore.

Poco importa, l’Immortale non è divenuto leggenda senza meriti, e impiega davvero poco a capire la trappola: “Tu non saj chi song’ ij! M’è sottovalutat’” ammonisce Enzo e se ne guadagna il rispetto.
Ormai, però, la sua posizione a Sofia è compromessa da un figlio (Mladen) che si vede scavalcato dall’ultimo arrivato e non accetta di essere secondo agli occhi del padre (Valentin). Paradossale come Ciro, orfano a causa del terremoto dell’Irpinia, sappia così facilmente entrare nelle famiglie altrui e incarnare tutto ciò che un certo tipo di padre vorrebbe come erede: “Se non avessi un figlio, ne vorrei uno come te" - ammette Valentin - "ma un figlio ce l’ho già”.


La situazione è destinata a finire male, così Ciro fa quello che sa fare meglio: uccide prima di essere ucciso, prima il padre e dopo il figlio, cogliendo di sorpresa i cugini dell’est, rei di non aver capito di star usando un lupo come cane da pastore.


Ciro abbandona la Bulgaria, ma prima riporta in patria la ragazzina albanese, che terrorizzata ha assistito all’omicidio del suo violento protettore. La lascia in una tavola calda, con del denaro e un cellulare per chiamare a casa, accenna un sorriso guardandola mangiare di gusto delle patatine fritte. È una bambina che si è ritrovata chissà come all’inferno, ma a differenza di Di Marzio, ha un posto dove tornare. “Fa ‘a brava!” le raccomanda, accarezzandole la testa con fare paterno. 

Ma lui una figlia non ce l’ha più e pur non avendole tolto personalmente il respiro, così come ha fatto con Deborah, è stata la sua continua e insaziabile sete di gloria a trascinarla sul patibolo. Malammore ha detto di essersi guadagnato un posto all’inferno con quel gesto ignobile, Ciro Di Marzio dall’inferno continua ad andare e tornare, senza meta, con il solo scopo di non impazzire, fissando le proprie mani, sporche del sangue di Maria Rita.

 

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