Meet The Moonlight, Jack Johnson: "Non bisogna dimenticare le piccole cose quotidiane"

Musica

Fabrizio Basso

Credit Morgan Maassen_
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È l'ottavo album in studio del musicista delle Hawaii e uscirà a distanza di cinque anni dall’ultimo progetto; è stato prodotto da Blake Mills. L'INTERVISTA

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Arriva il 24 giugno Meet The Moonlight (Brushfire Records/Republic Records), ottavo album in studio del cantautore statunitense Jack Johnson, il primo dopo quasi quattro anni. Si tratta di un disco che raccoglie l’esperienza dell’artista negli anni. Supportato dal talento di Blake Mills (produttore di John Legend, Alabama Shakes e Perfume Genius), l’album è straordinario nella sua leggerezza e semplicità, capace di trasmettere, con la sua musica dolce, il messaggio che nella vita contano le piccole cose della quotidianità.
 

Qual è il significato del titolo Meet The Moonlight? Cosa rappresenta il chiaro di luna?

È una metafora che rappresenta la rottura di schemi desueti. A volte nella vita è facile e veloce prendere decisioni che possono cambiare tutto, altre volte si coltivano sogni difficili da raggiungere che una volta realizzati non soddisfano le aspettative. Tutto questo fa perdere le piccole cose quotidiane. Ricordo soprattutto a me stesso di non commettere questo errore.

Il titolo dell’album è poetico. Pensi che ci siano elementi che accomunano il processo di scrittura delle canzoni e la poesia?
Per quanto ami scrivere canzoni non ho mai scritto poesie pur ammettendo che le canzoni sono una forma di poesia. Quando mi trovo nel processo di scrittura di un album, accade spesso che mi sveglio e scrivo: alcuni versi possono diventare più poetici di altri, ma buona parte è semplicemente un nonsense per sbloccare la mia mente: Don’t Look Now è un flusso di coscienza.
A quale genere musicale senti di appartenere? Pensi che sia importante per un artista aderire a un genere?

La mia potrebbe essere definita una buona musica da barbecue. Può sia essere usata come sottofondo che ascoltata più attentamente per cogliere il significato delle parole: funziona in entrambi i modi. So che a molti artisti non piace definire il proprio lavoro come musica di sottofondo e molti se pensano a questo tipo di musica la fanno solo strumentale. Io la ascolto quando ho amici a casa o quando viaggio. Mi piace pensare di essere la colonna sonora della vita di qualcuno. Per quanto riguarda l’aderire a un genere specifico, quando ascolto alcune band spero che queste non cambino il loro stile, mentre di altre vorrei sentire i cambiamenti che potrebbero fare. Mi piacciono gli esperimenti che i Radiohead hanno fatto nel corso del tempo. Apprezzo ascoltare idee diverse. La musica però è basata più sul sentimento che sulla sperimentazione.
Com’è nato il tuo nuovo album e quali sono le sue influenze?
È stato creato col produttore Blake Mills. Il primo tema è stato da dove volevamo cominciare. Inizialmente abbiamo lavorato su canzoni con pochi elementi, come due chitarre, e poi abbiamo registrato: in alcuni casi abbiamo aggiunto poco altro, in altri abbiamo modificato tanto. Volevamo che queste suonassero come schizzi dell’album, molto semplici. Tra le influenze ti cito Greg Brown, i Pixies, J.J. Cale e una serie di band il cui lavoro può sembrare apparentemente facile e senza sforzo ma che un musicista sa essere figlio di un grande impegno. Blake Mills ha trovato che anche la mia musica ha questa caratteristica. È una scelta intenzionale. Spesso gli “schizzi” sono dei lavori bellissimi.

Quali sono le differenze tra Meet The Moonlight e tuoi precedenti lavori?

Una è la mia amicizia con Blake: la chimica che si crea con le persone con cui si lavora cambia tutto. È un grande produttore e polistrumentista che riesce a far suonare bene tutto quello su cui lavora. Ho avuto la possibilità di imparare molto dal suo talento. Poi ascoltando gli album si percepisce la mia crescita. In Brushfire Fairytales, il mio primo album, si sente che ero molto giovane e che vivevo con altri sei coinquilini. Il disco successivo, On and On, è sull’amore appena iniziato tra me e mia moglie mentre In Between Dreams parla di come ci si senta a mettere per la prima volta al mondo un bambino. Quello che vivi permea la musica.

Come scegli i temi delle tue canzoni?

Di solito cerco di non pensare a cosa sto scrivendo finché non è finito. Nelle canzoni d’amore ci sono elementi molto personali. Non per sminuirle, ma le scrivo quasi per scherzo, per far ridere mia moglie, per scusarmi di essermi dimenticato il regalo di compleanno, per esempio. Sono canzoni molto personali in cui includo dettagli privati e per questo non sempre posso inserirle negli album.

C’è qualche cantante o artista in particolare che ha influenzato il modo in cui fai e vivi la musica?

Sicuramente Greg Brown mi ha insegnato molto. Le sue canzoni mi hanno fatto capire in che modo volevo approcciarmi alla scrittura. C’è un verso nella sua Two Little Feet che dice “It’s a messed up world but I love it anyway” (“è un mondo incasinato ma lo amo comunque”). Lui era molto realista e cinico ma trasmetteva sempre speranza nelle canzoni. Mi piace far ridere le persone grazie alla musica e ho imparato da Greg Brown a usare lo humor. Ascoltandolo ho anche percepito che i testi vengono da sue esperienze personali e nelle mie canzoni inserisco elementi personali a cui le persone possono sentirsi legate. Quando una canzone contiene abbastanza verità da diventare universale l’ascoltatore ne è un protagonista. 

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