“Nove lune e mezza”: la parola a Claudia Gerini

Cinema

Barbara Ferrara

Claudia Gerini sul set © Vision Distribution 
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Distribuito da Vision Distribution, “Nove lune e mezza”, opera prima di Michela Andreozzi (regista e interprete), arriva nelle sale italiane il 12 ottobre. Il film è un viaggio nella vita delle donne di oggi, ma anche degli uomini, parla di famiglia, musica e scelte a volte estreme. Nel cast, una straordinaria Claudia Gerini (Livia). L’intervista all’attrice romana

Al suo debutto dietro la macchina da presa, Michela Andreozzi porta al cinema una commedia romantica che vede protagoniste le donne. Livia (Claudia Gerini) e Modesta, detta Tina (Michela Andreozzi): due sorelle che non potrebbero essere più diverse tra loro. Una vive sognando di restare incinta, l’altra invece di figli non vuol sentirne neanche parlare, la prima è una pavida vigilessa, la seconda una sfrontata Il film è un parto, un pretesto per raccontare il presente di molte donne, “del rapporto con la maternità, la bellezza, le altre donne, il tempo che passa, il mondo del lavoro, gli obbiettivi, i desideri, le frustrazioni”, per usare le parole della stessa regista. In occasione dell’uscita al cinema, abbiamo intervistato Claudia Gerini, per conoscerla più da vicino e saperne di più di questo suo fantastico viaggio dal titolo “Nove lune e mezza”.

Nella vita lei è madre di due figlie, come è stato recitare la parte di Livia che invece di figli non ne vuole?
E’ sempre molto interessante interpretare un personaggio lontano da te e capace di scelte che tu non faresti mai. Livia mi piace perché è una donna libera, non sente sensi di colpa, sta bene nel suo corpo, non ha dubbi sulle decisioni prese, è sposata con l’uomo che ama, e l’amore verso sua sorella la mette di fronte al fatto che tra le due lei si sente quella fortunata…Così decide di prestarle la pancia e renderla felice partorendo per lei.
Farebbe mai una cosa del genere nella realtà?
No, e non per ingenerosità, ma perché sarei incapace fisicamente di portare avanti per nove mesi una storia d’amore con un esserino che vive nella tua pancia e poi staccarsene, non ne sarei capace, starei malissimo.
Nel film si arriva alla conclusione che “I figli sono di chi li cresce”: è d’accordo?
Assolutamente d’accordo, i figli sono di chi dà loro amore, di chi è capace e di proteggerli, questo è sacrosanto. I fatti di cronaca al contrario molto spesso ci parlano di figli maltrattati e di genitori che non se ne sanno prendere cura.
Perché secondo lei la maternità è un tema così discusso su cui tutti si sentono in dovere di dire la propria e perché in Italia se una donna non vuole dei figli deve giustificarsi? Perché in Italia siamo legati ancora ad archetipi antichi degli anni Cinquanta, una donna è considerata una donna a metà se non è madre e questo è inaccettabile. Chi decide con coraggio di non volere figli, di non sentirsi adatte fa una scelta anche molto moderna. E nel film finalmente si affronta questo tema. E’ un’idea retrograda quella che vede la donna come una fattrice e punto. Io dico sempre “ragazze innanzitutto realizzatevi, trovate una propria identità”.
E’ questo ciò che insegna alle sue figlie?
E’ fondamentale capire qual è la propria indole, alle mie figlie insegno a non avere paura, inseguire la propria natura, il proprio istinto, a essere contente seguendo ciò che le fa sentire bene, cerco di dare loro gli strumenti per imparare quello che vogliono imparare e intraprendere strade anche nuove ma che sentono dentro.
La sequenza in cui lei esce di notte e incontra dei musicisti che improvvisano un concertino jazz, mentre una ragazza balla e un uomo canta una strofa di Mamma Roma Addio di Remotti sembra un omaggio a “Luci del varietà” di Fellini…che rapporto ha con la sua città?
Sono una romana nel dna più profondo, Roma è stata il perno di un impero, appartiene a tutto il mondo e racconta una storia di millenni. Meravigliosa, struggente, calda, piena di colori e bei tramonti, io l’ho vissuta anche attraverso il cinema, e interpretando molte romane, in qualche modo l’ho raccontata anch’io. Soffro molto oggi nel vederla sciatta e abbandonata, sono anni che è cosi e non se lo merita.
Sul set lei è una violoncellista che non segue gli spartiti, ma va a orecchio, si direbbe che lei con la musica nel sangue ci sia nata.
Ho amato la musica da sempre, nella danza e nel canto. Adoro vivere nella musica, ho molto orecchio anche nell’imparare le lingue, è qualcosa che mi appartiene. La musica riscalda la vita di ognuno di noi, soprattutto di chi come me la vive in modo così sentimentale.
Giorgio Pasotti, nel film suo marito Fabio, è il classico compagno perfettino che però alla fine si lascia andare, nella vita vera, che tipo di uomo preferisce?
Per me un uomo deve essere libero e indipendente, deve capire la mia natura impetuosa, che ama viaggiare e le avventure. Con il lavoro che faccio non sono mai uguale a me stessa, cambio spesso scenario, deve seguirmi ma non dipendere da me. Comunque sia l’uomo perfetto non esiste.
Che ricordi ha del suo debutto cinematografico con Sergio Corbucci accanto a Lino Banfi e Laura Antonelli?
Mi sentivo una ragazzina fortunata, ho fatto mille provini, mi hanno scartato un sacco di volte, ma quando mi hanno scelto per fare quel film, mi sono sentita dentro una favola. Mi piaceva il set, sentivo di appartenere a quel mondo. Poi giravamo a Cannes, in un ambiente molto bello, mi sembra di vivere un sogno.
Da quel concorso “Miss Teen Ager” a oggi Claudia Gerini è cambiata tanto, cosa conserva di quella ragazzina?
Alla fine non è cambiata così tanto, continuo ad amare il mio lavoro come quella ragazzina lì, di invariato è rimasto il cuore, ovviamente ho più consapevolezza ed esperienza, sono migliorata e sono diventata donna ma quella ragazzina vive ancora dentro di me.
Ha un motto nella vita?
Sto imparando a essere più leggera, a fregarmene un po’ di più, non degli altri, ma del giudizio degli altri, come donne siamo portate e abituate a compiacere, è un bel traguardo uscire da questo schema.

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