In concorso a Sguardi Altrove: Open to the public. La Napoli delle case popolari

Cinema

M.Beatrice Moia

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L’istituto Autonomo Case Popolari di Napoli gestisce 40.000 alloggi. I funzionari che ci lavorano hanno imparato ad ascoltare i problemi di tutti gli inquilini e spesso, in presenza di situazioni di disagio estremo, cercano di aiutare i cittadini forzando gli assurdi ingranaggi burocratici. Questa è la realtà raccontata da Silvia Bellotti nel suo documentario Open to the public (Aperti al pubblico) in concorso al 25° Sguardi Altrove Film Festival.

Una donna sola. Anziana. Analfabeta. Vive in una palazzina della provincia di Napoli. I figli, a Milano per lavoro, non la chiamano da vent’anni. Per ignoranza o disarmante inconsapevolezza, viene raggirata dalla sorellastra. Firmato un documento di cui non conosce i contenuti, scopre che la proprietà della sua abitazione è passata a un’altra persona, una fantomatica nipote che spunta addirittura nel suo stato di famiglia e la minaccia di morte per costringerla a lasciare la casa. Una storia tragica tra altre 40mila altrettanto estreme, assurde, rocambolesche. Ma tutte drammaticamente autentiche. Dietro ogni storia c’è uno dei 40mila alloggi gestiti dall’istituto Autonomo Case Popolari di Napoli.

Sono i racconti di Open to the public (Aperti al pubblico) di Silvia Bellotti. Il documentario è stato proiettato martedì 13 marzo allo spazio Oberdan di Milano nella sezione “Nuovi Sguardi”, il concorso principale del 25° Sguardi Altrove Film Festival. Il lavoro è già reduce da due importanti vittorie: quella come miglior documentario al festival Visioni Italiane di Bologna e quella del premio del pubblico al Festival dei Popoli di Firenze. Silvia Bellotti ha iniziato la sua carriera come giornalista ma, come ha raccontato lei stessa presentando il suo lavoro, non ha mai voluto solo trovare notizie ma tratteggiare situazioni. Realtà solo apparentemente statiche, mai uguali a se stesse. Anzi, estremamente e tristemente cangianti. Con quel dinamismo inarrestabile e amaro scandito dalla sofferenza e dall’abbandono. Storie vere, purtroppo, di persone sole, famiglie numerose, anziani in difficoltà e immigrati “naturalizzati” napoletani. Abitanti di case popolari, case per chi ha bisogno, case per tutti. Perché tutti avrebbero diritto a un tetto sopra la testa. Lo esige un senso insuperabile di giustizia sociale, lo esige soprattutto la dignità umana che va riconosciuta anche a chi, come la donna protagonista dell’episodio di cui sopra, non sa né leggere né scrivere e ha bisogno di chi le dia una mano per capire che la lettera ricevuta è un avviso di sfratto. L’istituto Autonomo Case Popolari di Napoli, come detto, gestisce 40.000 alloggi e gli impiegati che ci lavorano cercano di risolvere i problemi di 40.000 famiglie. Burocratici, certo, ma soprattutto umani. D’altra parte come rimanere indifferenti di fronte a chi piange e supplica per vedersi riconosciuta l’assegnazione di una casa? Come evitare di aprire spiragli di umanità tra il grigiore delle normative? Un documentario che sembra aver preso a prestito personaggi e parole di una commedia di Eduardo, ancora più credibile perché nulla è stato aggiunto a una realtà in cui tragico e comico sono le due facce della stessa medaglia.  

Silvia Bellotti fa raccontare tutto questo dagli involontari protagonisti. Il risultato è un lavoro caratterizzato da una forza e intensità estreme. Le scelte registiche e stilistiche fanno sì che lo spettatore sia coinvolto in una maniera totalizzante. Nessun copione. Quella che si vede e si ascolta è la realtà. Le persone che parlano attraversano l’obiettivo della telecamera sono uomini e donne “della strada”, in fila a uno sportello. Il montaggio e la scansione delle inquadrature ricrea un ritmo da commedia a episodi. Incalzante e coinvolgente. La “napoletanità” con tutte le sue venature umanissime, talvolta grottesche, talvolta surreali, fa il resto. Ecco che gli uffici si trasformano in un palcoscenico. Quello della vita.

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