Collegi, replay e bufale: le parole della politica 2017

Politica

di Livia Michilli

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Dalla battaglia sullo Ius soli fino alla scissione interna del Pd, passando per la riforma della legge elettorale e le fake news: breve dizionario politico di quest'anno

di Livia Michilli

SOLI

Inteso come Ius soli, uno dei provvedimenti più divisivi di questa legislatura. Ma pure come “meglio soli”, ossia la scissione del Pd ad opera di D’Alema e Bersani. Dopo mesi di difficile coabitazione, a febbraio lasciano largo del Nazareno per fondare Mdp, ribaltando l’assunto per cui la spaccatura del partito e la nascita di una “cosa” a sinistra siano un favore a Grillo e alla destra: “Il Pd da solo perde”, è piuttosto la tesi dell’ex segretario dem. Tesi che diventa un quasi paradossale “uniti si perde” allorché gli scissionisti rifiutano l’alleanza elettorale con Renzi e decidono di marciare Liberi e Uguali sotto la guida del presidente del Senato Pietro Grasso. Si fa invece da parte Giuliano Pisapia: il colpo definitivo al già claudicante accordo col Pd arriva quando lo ius soli (e ius culturae), inserito tra le condizioni per l’intesa, finisce in fondo all’elenco delle cose da fare in Senato nel poco tempo rimasto. Praticamente un binario morto per la legge che prevede la concessione della cittadinanza ai figli di immigrati nati o cresciuti in Italia. Se ne parla da 13 anni, bisognerà attendere ancora.

Scommessa

Se è vero che il buongiorno si vede dal mattino, il 2017 nato sulle macerie del referendum costituzionale prometteva di essere un anno impegnativo. E così è stato per il segretario del Pd Matteo Renzi. Si comincia con le primarie per riprendere la guida di un partito ferito dalla scissione; poi la corsa alle amministrative di giugno, finita con la resa in città rosse come Genova; quindi le elezioni regionali in Sicilia, col candidato del Pd sul gradino più basso del podio. Ma la sfida più impegnativa sarà la riconquista di Palazzo Chigi che passa, vista la nuova legge elettorale, per la tessitura di una coalizione di centrosinistra: detto della tendenza all’implosione (a destra il passo indietro di Alfano, a sinistra la rinuncia di Pisapia), comunque quel che gli alleati vorrebbero da Renzi è proprio la rinuncia alla premiership. Ma lui non intende mollare, come recita lo slogan dell’ultima Leopolda: L8.

 

Collegi

Quella per la definizione dei collegi è l’ultima battaglia della lunga contesa sulla nuova legge elettorale. Il 2017 ha infatti regalato al Paese il Rosatellum: sistema misto (due terzi proporzionale, un terzo maggioritario) che dovrebbe spingere i partiti verso le coalizioni. Detto che la legge elettorale perfetta probabilmente non esiste, secondo molti analisti della politica questa rischia di non produrre una maggioranza omogenea in grado di garantire stabilità di governo. Il Servizio studi della Camera dei deputati ha provato con una simulazione a “proiettare” il Rosatellum sui risultati del voto del 2013. Ne emerge che non ci sarebbe stato alcun vincitore. Perciò alcuni prevedono che la prossima legislatura sarà breve e destinata a riaprire il dossier. Un record tutto italiano. Sabino Cassese sul Corriere della Sera ha calcolato che in 150 anni di storia unitaria sono state prodotte 12 diverse formule elettorali. Negli Stati Uniti, per dire, si tengono la stessa dal 1842.

 

Carte di riserva

Detto senza offesa, trattatasi di quelli che, ufficialmente, non sono in campo per la premiership; non coltivano ambizioni da leader; non possiedono (ancora) truppe di partito alle spalle. E però, se dalle urne uscisse un risultato frastagliato, potrebbero scendere in pista perché figure meno controverse, provenienti da un campo politico ma non invise a quello avversario. E così potrebbe fare il bis Paolo Gentiloni, uno che è sempre stato dalla parte di Renzi ma cammin facendo ha dato un suo profilo al governo e, per dire, quando gli hanno chiesto una definizione ha scelto tra tutte “rassicurante”. C’è pure il ministro dell’Interno Marco Minniti, guarda caso una lunga esperienza nella cosiddetta back diplomacy . A tre mesi dalla nascita dell’esecutivo, un sondaggio Ipsos lo incoronò il più amato dagli italiani, insieme al premier. Un consenso cresciuto durante l’estate, grazie alla gestione dell’emergenza migranti.  Altro ministro molto evocato Carlo Calenda, sempre per la capacità di tenere assieme destra e sinistra, lui che è fuori dal Pd e da Renzi spesso si è smarcato. Dall’altra parte invece si parla soprattutto di Antonio Tajani, un uomo che lo stesso Berlusconi considera “un mediatore nato”, forte di una rete di relazioni in Europa che l’ha portato alla presidenza del Parlamento Ue. 

 

Uno

Da “uno vale uno”, mantra grillino a significare massima democrazia e partecipazione, a “uno solo”, Luigi Di Maio. Nel senso che la scelta del candidato premier del Movimento 5 Stelle ha suscitato sorpresa e mugugni per le modalità più simili a un’incoronazione (per abdicazione del fondatore) che a delle primarie. A sfidare il vicepresidente della Camera sono stati infatti 7 semisconosciuti, 37mila i votanti su 140mila iscritti, oltre 30mila a favore di Di Maio, percentuale che in altre epoche e lidi sarebbe stata definita bulgara. “Andiamo a vedere chi ha vinto con una suspence pazzesca”, ironizzava lo stesso Grillo nella notte riminese. Ma l’elemento che più sembra indicare la mutazione dei 5 stelle è la coincidenza dei ruoli di candidato premier e capo politico, indigesta ai cosiddetti ortodossi. Il Movimento è stato fin qui capace di affermarsi con la sua proposta di democrazia dal basso, oltre le categorie di destra e sinistra. Per il 2018, la sfida è passare dal vaffa alla grisaglia di governo.  

 

Padri

Quelli “nobili” stanno non più sul proscenio ma dietro le quinte, punto di riferimento per la comunità politica che hanno fondato o guidato. Per Romano Prodi il 2017 è stato l’anno della rentrée, dopo lunga e ostentata distanza dalle faccende del centrosinistra. Per la verità ancora a maggio dichiarava di essere “senza casa”, accampato in una tenda vicino al Pd, che il mese dopo era stata addirittura smontata e “riposta nello zaino”. Ma con la caduta delle foglie il dialogo è ripreso: Renzi pressato dalla necessità di ricostruire un’alleanza per le urne e Prodi richiamato alle sue responsabilità di fondatore dell’Ulivo. L’opera di ricucitura alla fine non è granché riuscita ma, per dirla con il Professore, “non tutte le frittate vengono bene...”.  

Per Umberto Bossi, padre della Lega ora a trazione salviniana, sembra invece più un finale di stagione. Prima resta giù dal palco dello storico raduno di Pontida, poi finisce vittima della spending review del segretario: per lui niente autista. Ma l’affronto peggiore è la svolta nazionale del Carroccio che si compie con il restyling del simbolo del partito. “Salvini raccontaballe, traditore, nazionalista fascista”, sbotta il Senatur. Che però ora rischia di non trovare posto nella Lega non più Nord. 

 

Replay

Gli indizi erano chiari. La remise en forme in quel di Merano, dieta jogging e piscina. La sosta al McDonald’s per una spremuta e poi la spesa all’Autogrill. Dire che stesse preparando la nuova discesa in campo è magari improprio, perché il campo Silvio Berlusconi dal 1994 non l’ha mai davvero lasciato, ma sembrava finito all’angolo: assediato da grillini e rottamatori vari, col partito che perdeva pezzi e decaduto da senatore. Senza considerare le 81 primavere e un intervento a cuore aperto. E invece, replay. Tra beauty farm e rinvii a giudizio, l’ancora leader di Forza Italia scandisce le nuove promesse elettorali, strizzando l’occhio ai coetanei: dalla pensione minima a mille euro, al veterinario gratis per gli anziani. Non sarà forse più il protagonista indiscusso della scena politica ma, complice la nuova legge elettorale, ha ancora carte da giocare.

 

Catalogna nostra

La somiglianza è solo “temporale”, perché si sa che il referendum promosso il 22 ottobre dal duo Maroni-Zaia niente ha da spartire con quello organizzato all’inizio dello stesso mese da Puigdemont. Il quesito lombardo-veneto chiedeva infatti per le due Regioni maggiore autonomia su 23 materie, mica l’indipendenza. Ed era consultivo, non vincolante. Certo utile ad avere più forza contrattuale nel confronto che la Costituzione prevede col governo e che entrerà nel vivo nei prossimi mesi. I sì arrivati oltre quota 90%, con l’affluenza al 57% in Veneto, una bella spinta la daranno. Ma se l’obiettivo dei due presidenti è trattenere sul territorio una quota maggiore di risorse finanziarie derivanti dalle tasse, per riequilibrare il saldo fra quanto dato e quanto reso, la strada appare in salita: l’esecutivo ha subito chiarito che le materie fiscali non sono oggetto di trattativa. I tempi comunque saranno lunghi: una volta raggiunto, l’accordo dovrà essere approvato dal Parlamento, a maggioranza assoluta.  

 

Bufale

Per il Collins Dictionary fake news è il termine dell’anno. Definizione attribuita a fenomeni diversi ma, tentando una generalizzazione, si possono intendere quei messaggi dai toni e contenuti spesso forti, ingannevoli se non falsi, che creano contrapposizioni, veicolati attraverso le piattaforme digitali. Tra gli effetti prodotti la cosiddetta , echo chamber, camera dell’eco, cioè spazi sul web dove circolano idee simili, che si confermano e si rafforzano con un effetto eco che le rende impermeabili a punti di vista differenti. Le fake news hanno occupato il dibattito politico degli ultimi mesi e, dopo l’allarme lanciato dal New York Times con conseguente scambio di accuse tra Pd, Lega e 5 Stelle, ci si chiede se potrebbero inquinare la campagna elettorale. Come difendersi? Secondo il garante della Privacy Antonello Soro, non è risolutiva la risposta tecnologica e nemmeno la repressione penale: la chiave è nella responsabilizzazione diffusa.

 

Trasporti

Si è appena concluso il tour in treno di Matteo Renzi attraverso 107 province italiane. Non è la prima volta (nel 2001 ci fu l’Ulivo Express di Francesco Rutelli) e d’altra parte i politici, in campagna elettorale più che mai ansiosi di non apparire casta rinchiusa nei palazzi, hanno negli anni saccheggiato tutto il parco mezzi: bus, pullman, camper, persino un tir, quello giallo di Romano Prodi alle primarie dell’Unione nel 2005. Cinque anni prima, alle Regionali, Silvio Berlusconi solcò i mari a bordo della nave Azzurra. Molto green le scelte del Movimento 5 Stelle: per il suo “Costituzione coast to coast” Alessandro Di Battista ha inforcato un scooter, poi con Luigi Di Maio e Giancarlo Cancelleri ha girato la Sicilia in auto elettrica. Ma la palma del trasporto più ecologico spetta a Beppe Grillo per le Regionali del 2012: lo stretto di Messina lui lo attraversò a nuoto.  

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