Referendum autonomia, le ragioni del No e dell'astensione in Lombardia

Politica

Federica Villa

Foto Ansa

Per i lombardi, urne aperte il 22 ottobre. Al centro delle critiche le troppe spese sostenute per la consultazione. Ma anche l’utilità del voto viene messa in discussione. Non è previsto un quorum

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Per tutta la giornata del 22 ottobre, dalle 7 alle 23, i cittadini della Lombardia, insieme a quelli del Veneto, votano per il referendum consultivo sull’autonomia della propria Regione. Sul tablet - perché il voto questa volta per i lombardi sarà elettronico - gli elettori sono chiamati a esprimere un parere: se vogliono, oppure no, che si avviino iniziative istituzionali da parte della Lombardia per poter richiedere allo Stato maggiori condizioni di autonomia.

La Lega Nord, promotrice della consultazione, è compatta sul fronte del Sì. Insieme a lei anche quasi tutto il centrodestra e il Movimento 5 stelle. Mentre altri schieramenti sono divisi al loro interno, se non del tutto contrari. Ma anche la scelta dell’astensione potrebbe prevalere. Questo, da un punto di vista politico, avrebbe risvolti importanti: non è previsto un quorum, ma il presidente della Regione, Roberto Maroni, ha bisogno di un’affluenza alta per poter avere più margine di trattativa con Roma. Ecco tutto quello che c’è da sapere sulle ragioni del No, o di un’eventuale astensione: dalle critiche per le grandi spese sostenute per la votazione, fino allo scontro politico.

La questione dell’articolo 116 della Costituzione

Una delle critiche che viene mossa contro la decisione di indire un referendum è quella dell’esistenza dell’articolo 116 della Costituzione, modificato con la riforma del Titolo V del 2001. Questo prevede che le Regioni possano richiedere allo Stato maggiori competenze - che sono elencate nel successivo articolo 117- oltre a quelle che hanno già. Il referendum, quindi, non è uno strumento necessario o obbligatorio, e l’articolo stesso non lo prevede. Su questo punto hanno insistito diversi esponenti del mondo politico, fra cui anche il ministro per la Coesione territoriale, Claudio De Vincenti che, ai microfoni di Sky Tg24, ha detto: "Basta una lettera della Regione per chiedere un confronto con il governo per ulteriori forme di autonomia. È quello che ha fatto l’Emilia Romagna", dove il governatore Bonaccini a luglio ha avviato la stessa procedura senza però ricorrere alla consultazione.

La polemica sulle spese eccessive

Molte critiche, inoltre, sono state rivolte contro la spesa che la Regione ha dovuto affrontare per sostenere il referendum. In Lombardia i costi sono saliti anche per via della scelta di ricorrere al voto elettronico, grazie a un emendamento voluto dal Movimento 5 Stelle. Così, questa sarà la prima volta che in Italia gli elettori si troveranno davanti a dei tablet per votare. Ne sono stati acquistati 24mila. Saranno distribuiti nei circa 8mila seggi e, dopo il voto, rimarranno "in comodato d'uso alle scuole sedi dei seggi", come ha detto più volte Maroni. La spesa complessiva per gli apparecchi è stata di circa 23 milioni di euro. Mentre il costo totale della tornata referendaria si aggira intorno ai 50 milioni. Una cifra, questa, che comprende non solo l’utilizzo dei tablet ma, per esempio, anche la campagna promozionale e informativa sul voto e la retribuzione per chi, quel giorno, lavorerà alle urne.

La critica: è contro l’unità nazionale

Un altro punto di discussione è quello della tempistica di questo referendum che arriva poco dopo quello sull’indipendenza catalana che ha dato il via a un nuovo e profondo strappo tra Barcellona e Madrid. Le differenze fra le due consultazioni sono molte, ma l’associazione fra i due casi è quasi immediata. "La differenza tra il nostro referendum e quello Catalano è evidente", ha però ribadito ai microfoni di Sky Tg24 Maroni, "il nostro è un referendum nell’ambito della Costituzione, infatti nel quesito specifichiamo che la richiesta di autonomia si svolge 'nel quadro dell'unità nazionale’". Ma proprio la tutela dell’unità del Paese è messa in discussione dai contrari alla consultazione. È di questo parere anche Giorgia Meloni, la leader di Fratelli d’Italia che a inizio ottobre ha fatto sapere: "Io non andrei a votare. È un referendum solo propagandistico". "Qui non ci sono i popoli italiani, ma il popolo italiano", ha poi ricordato, "ci sono mille campanili, ma una sola patria". 

Nell’immediato non cambierebbe nulla

Il fatto che quello del 22 ottobre sia un referendum consultivo, potrebbe essere un motivo di astensione. Anche se dovesse prevalere la svolta autonomista, infatti, il risultato non sarà vincolante e non porterà a risultati nell’immediato. Inoltre, le future giunte regionali potrebbero anche non tenerlo in considerazione. Un altro tema da considerare è quello della tempistica delle trattative, perché bisognerebbe aspettare a lungo. Maroni, se vincesse il Sì, sarebbe comunque autorizzato a consultare gli enti locali per poi avviare una trattativa con Roma. Ma se anche si dovesse arrivare a un’intesa tra palazzo Chigi e Milano, questo sarebbe l’inizio di un iter che avrebbe come punto di arrivo la stesura di una proposta di legge. Il ddl poi, con le modifiche concordate con lo Stato, andrebbe discusso in Parlamento, dove dovrebbe essere approvato dalle Camere a maggioranza assoluta.

La questione politica

A influire sul voto del 22 ottobre saranno anche gli orientamenti politici. Dalla parte del Sì c’è la Lega Nord, con la maggior parte del centrodestra, eccezione fatta per Giorgia Meloni. Il leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi ha anche annunciato di voler proporre questo modello di consultazione "a tutte le Regioni italiane". Favorevole all’autonomia lombarda anche il Movimento 5 Stelle, mentre il Partito democratico è spaccato. La maggior parte dello schieramento ritiene che sia uno spreco di risorse oltre che una perdita di tempo, ma al suo interno ci sono voci contrastanti. Fra queste, anche quella del sindaco milanese, Giuseppe Sala, che è per il Sì, così come il sindaco di Bergamo, Giorgio Gori. I due hanno fondato un comitato per un "Sì diverso". E, proprio Gori, intervistato da Sky Tg24, ha accusato Maroni di aver strumentalizzato il referendum, ma ha anche detto di rimanere comunque un sostenitore dell’autonomia. Critico, invece, l’ex primo cittadino milanese e ora leader di Campo progressista, Giuliano Pisapia che voterà No, così come Antonio di Pietro.

Gli astenuti

Dal mondo della politica, passando per quello dell’economia, c’è anche un grande gruppo di personalità che ha scelto di non presentarsi alla urne. In campo politico, Mdp ha optato per l’astensione. La stessa decisione è stata presa dal Psi, perché la consultazione "non ha alcuna utilità", come ha detto il segretario nazionale Riccardo Nencini. Non voterà nemmeno il ministro dell’Agricoltura, Maurizio Martina (Pd), che ha definito la questione referendaria una "propaganda leghista". E, come lui, farà Sara Valmaggi, del Pd e vicepresidente del Consiglio regionale. In campo economico, come riferisce Repubblica, si asterranno sia il finanziere Francesco Micheli, che crede che "oggi le priorità siano altre", sia l’economista Marco Vitale secondo cui il referendum lombardo è "totalmente inutile". 

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