Italicum, oggi la fiducia. Renzi: niente melina. Pd spaccato

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Dopo la bagarre in aula per la decisione del governo, a Montecitorio è atteso il primo dei tre voti. Il premier: "Se un Parlamento decide, se un governo decide, questa è democrazia, non dittatura". Ma da Bersani a Speranza molti dem non voteranno

Se l'Italicum non passa il governo va a casa. Il giorno dopo aver messo la fiducia alla Camera, e aver scatenato le proteste dell'opposizione, Matteo Renzi in una lunga lettera alla Stampa si dice pronto a discutere sul Senato, ma adesso basta con la melina. E rimarca che se la legge elettorale venisse approvata vorrebbe dire che il Parlamento vuole continuare le riforme.  Mettere la fiducia sulla legge elettorale, scrive, è un gesto di serietà verso i cittadini. "Dopo aver fatto modifiche, mediato, discusso, concertato, o si decide o si ritorna al punto di partenza. Se un Parlamento decide, se un governo decide, questa è democrazia, non dittatura".

Renzi: ci dicono arroganti ma facciamo il nostro dovere - "Rispetto le posizioni di tutti e di ciascuno - scrive il presidente del Consiglio nella e-news - Fa male sentirsi dire che siamo arroganti e prepotenti: stiamo solo facendo il nostro dovere. Siamo qui per cambiare l'Italia. Non possiamo fermarci alla prima difficoltà".

Bagarre in Aula - Le parole di Renzi arrivano nel giorno della prima delle tre fiducie poste sull'Italicum e poche ore dopo la bagarre in Aula causata dalla richiesta del governo, che ha deciso di blindare la riforma elettorale alla Camera, dopo aver superato senza patemi d'animo due voti segreti sulle pregiudiziali all'Italicum, presentate dalle opposizioni. Una scelta, quella di Matteo Renzi, presa nella convinzione che la minoranza Dem avrebbe tentato "il colpo" su un ben preciso emendamento a scrutinio segreto, che se fosse andato in porto avrebbe rispedito la riforma in Senato. Tale scelta però non solo ha sollevato le proteste delle opposizioni, ma anche quelle della minoranza Dem, con alcuni dei suoi big (come Enrico Letta e Pier Luigi Bersani) che non parteciperanno al voto, ed altri addirittura che negheranno la fiducia. Prodromo di un possibile strappo che non potrà essere ignorato dal gruppo e dal partito.

Gli insulti a Boschi e Boldrini - Quando, dopo la riunione del Consiglio di ministri, il ministro Maria Elena Boschi alla ripresa della seduta ha annunciato la decisione di chiedere la fiducia, le opposizioni sono insorte. Renato Brunetta ha evocato il "fascismo", Renato Scotto (Sel) ha parlato di "funerale della democrazia" (mentre i deputati di Sel lanciavano crisantemi sui banchi del governo). Sono volati anche insulti indicibili da parte di Maurizio Bianconi e dei deputati di M5s, a danno del vice capogruppo del Pd Ettore Rosato e della Presidente Laura Boldrini che, in base al regolamento e ai precedenti, aveva giudicato ammissibile la fiducia sulla materia elettorale.

Il Pd si spacca. Bersani: io non esco dal partito - La minoranza dem è in rivolta. Annunciano il no alla fiducia Pippo Civati, Stefano Fassina, e Alfredo D'Attorre in modo prevedibile, ma anche l'ex capogruppo Roberto Speranza, che però spacca la sua corrente, Area Riformista: alcuni come Nico Stumpo e Davide Zoggia voteranno sì alla fiducia, ma non si pronunciano sul voto finale, mentre altri come Dario Ginefra e Antonio Misiani voteranno sì all'una e all'altro. Ma ci sono anche alcuni big, come Enrico Letta e Pierluigi Bersani, che non voteranno la fiducia, pur uscendo dall'Aula per evitare il no. "Io non esco dal Pd, nessuna scissione" avverte però Bersani.
In ogni caso, è proprio il voto finale, a scrutinio segreto, che resta l'ultima incognita, anche se il governo è convinto che avrà il soccorso di molti deputati di Fi e M5s. Il "Vietnam" potrebbe invece riguardare la riforma costituzionale, all'esame del Senato, dove la minoranza Dem è determinante.

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